È stato un crepuscolo ecumenico quello di ieri per difendere il diritto alla libertà della rete, con un parterre di relatori (così l’ha definito Repubblica) politici artisti, blogger, imprenditori, giornalisti, giuristi, Emma Bonino, Vincenzo Vita, Nicola D’Angelo, Antonio Di Pietro, Dario Fo, Alessandro Gilioli, Peter Gomez, Giulia Innocenzi, Roberto Natale, Luca Nicotra, Flavia Perina, il Piotta, Franca Rame, Fulvio Sarzana, Marco Scialdone, Guido Scorza, Mauro Vergari, Carlo Verna, Vittorio Zambardino.
Relatori, è detto tutto. Manifestazione doverosa, doverosamente se non eravamo presenti l’abbiamo seguita grazie alla diretta streaming. Siamo doverosamente arrabbiati. E tutto è stato doverosamente stagionato: parole d’ordine trasversali, unità di intenti consociativi, sul palco si sono avvicendati proprio tutti compresi alcuni impuniti che sono stati al governo fino a qualche tempo fa sostenendo quelle turpi misure censorie che hanno collocato l’Italia agli ultimi posti in materia di diritto all’informazione e dovere di informazione.
Più degli ospiti e dei contenuti, tutti condivisibili, sono le modalità a farmi superare l’altrettanto doverosa carità di patria. Ma come? Si parla di rete, di nuovi immateriali territori sconfinati della comunicazione, del dialogo, della circolazione di pensieri, messaggi, gesti dirompenti, immagini, spazi illimitati e che per questo non possono e non devono essere sottoposti a limiti in una nuova geografia della libertà. Ma come? si sta tutti là a tutelare un nuovo formidabile bene comune, che contrassegna la contemporaneità e inciderà più di ogni altro modo, di ogni strumento, di ogni linguaggio il futuro. E a testimoniarne si tira su un palco, o un palcoscenico, su cui si rappresenta l’indignazione legittima e sacrosanta, secondo la tradizionale sceneggiatura: i saluti, i telegrammi, le dichiarazioni, gli editoriali, i comizi, i pistolotti di quelli che Repubblica innocentemente ha definito appunto i relatori, quanto più lontano c’è dall’istantaneità anche magari effimera della rete, ma così vitale, nuova, potente, sfrontata, poco diplomatica, poco cauta, poco formale.
Mi è venuta una gran voglia di Anonymous Italia, di provocazione, di sberleffo, di indiani delle metropoli del web, di modi che creassero un po’ di salutare caos nella cerimonia per interpretare e raccontare meglio la collera che abbiamo per questo come per gli altri innumerevoli attentati alla nostra autodeterminazione, alla nostra indipendenza di cittadini, alla nostra libertà.
Abbiamo fatto il nostro dovere: la manifestazione c’è stata, ci siamo andati, l’abbiamo seguita.
Ma a me è mancato chi nella rete, nelle sue piazze, ci cammina, ci vive, ci parla, ci protesta, ci ragiona e ci canta e ci suona. Chi ormai i giornali dei “relatori” non li compra perché li legge sul web, chi non si accontenta dei Tg per vedere cosa succede in Siria ma si cerca le immagini dei cantieri della protesta su twitter, chi non aspetta Scalfari la domenica per decidere cosa pensare, ma magari il suo editoriale se lo scrive, la gente dei blog, dei siti, della circolazione – certo ancora “sporca” poco sofisticata, poco raffinata ma potente – delle notizie, dei pensieri, delle convinzioni, dei dubbi, delle speranze. Quelli che non hanno un ordine professionale, non hanno la copertura assicurativa, né la tutela legale, ma che in giro per il mondo e un bel po’ anche qui, “fanno” l’opinione e soffiano un bel vento rabbioso e fresco.
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