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Retroconsigli: uno sguardo a “The Affair”

Creato il 09 dicembre 2015 da Retrò Online Magazine @retr_online

La sperimentazione, si sa, è (quasi?) tutto nella vita. Un barlume di ispirazione contro la monotonia del quotidiano. Perciò, il consiglio è quello di lasciarsi trascinare da una delle più grandi novità del mondo variegato delle serie tv: ‘The Affair’. La rivelazione targata Showtime, nata dal connubio intellettuale tra Sarah Treem e Hagai Levi volge ormai al termine della seconda stagione. Ciò che ne viene fuori è un attraente ritratto della sfera relazionale umana, nel quale il bene e il male sono lasciati al giudizio dello spettatore, la cui centralità appare vitale a giudicare dalla struttura di questo drama. Un mix tra sentimentalismo e drammaticità, accompagnata da uno sfondo crime che alimenta di incertezze una vicenda già di per sé intricata.

Vietato fermarsi alla trama: quanta voglia avreste di immergervi in una nuova “avventura televisiva” al netto di un racconto circa una relazione extraconiugale tra i due protagonisti? Probabilmente, non molte. Ma ‘The Affair’ va oltre il convenzionalismo e l’apparente banalità della trama. Il resto dell’ottimo lavoro è coadiuvato da uno splendido cast, vero motore della vicenda attraverso l’accurata caratterizzazione dei personaggi. Perché la storia di Noah Solloway (Dominic West) e Alison Bailey (Ruth Wilson) è raccontata proprio per mezzo di due contrapposti punti di vista, i quali, alternandosi e sdoppiando tutto il corso degli episodi, spiazzano lo spettatore a suon di contraddizioni, talvolta decisive, per quanto sottili. Noah, scrittore con moglie (Helen, interpretata da Maura Tierney)  e quattro figli, è in cerca di ispirazione per il suo nuovo romanzo dopo il flop dell’esordio. Alison è una cameriera martoriata dalla terribile perdita di suo figlio, vittima del proprio passato e di una difficile relazione con suo marito Cole (un maturo Joshua Jackson, il Peacey di Dawson’s Creek e il Peter Bishop di Fringe, per intenderci).

Altro non si può anticipare: il confine tra il bene e il male, tra l’essere e non essere, è completamente annullato dalla divergente narrazione dei punti di vista di Noah e Allison. Qui entra in gioco lo spettatore, che resterà sopraffatto da un interminabile e spesso contraddittorio corso degli eventi.  Nessuna certezza tra il reale e la finzione. La certezza dell’incertezza esplode con la seconda stagione: i punti di vista divengono quattro e complicano assai più la gestione della realtà e le sicurezze dello spettatore. Il racconto affascina e richiama gli eventi antecedenti l’omicidio di Scotty Lockhart, che è fratello di Cole e cognato della coprotagonista Alison. Chi avrà ucciso Scotty? E soprattutto, perché? Senza anticipare nulla, i moventi possibili saranno molteplici.

In attesa della verità, lo scorrere della narrazione resta comunque ampiamente vivace, e non distoglie l’attenzione dello spettatore. Tanto che già i fans sperano in una terza stagione ed in un finale degno di nota per le attese create. Magari, senza verità in tasca: tanto per cambiare. La novità, dunque è di assoluta e straordinaria fattura. Il Golden Globe  a Ruth Wilson e alla serie, come miglior prodotto del 2015 conferma la consistenza dell’accurato lavoro e della validità dello stesso. L’auspicio è di vederla presto in Italia (poiché attualmente inedita). Perché una tv così può avere ancora parecchio da offrire e ci concede la libertà di analizzare le relazioni umane senza muovere da un punto di vista unico ed oggettivo, ma attraverso l’imprevedibile comportamento dell’uomo all’interno di esse. Dagli egoismi alle vicissitudini che arrecano dolore altrui, quasi senza rendercene conto, alla tanto ricercata felicità che talvolta, come in questa narrazione, sa anche di colpevolezza. Generale, peraltro. Nessuno escluso.

Tags:Dominic West,Golden Globe 2015,Hagai Levi,Joshua Jackson,Maura Tierney,Ruth Wilson,Sarah Treem,showtime,The Affair,tv series

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