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“Rettangoli in cerca di un Pi Greco” di Annamaria De Pietro – Marco Saya Edizioni, Gennaio 2015

Creato il 11 febbraio 2015 da Criticaimpura @CriticaImpura
Rettangoli in cerca di un Pi Greco di Annamaria De Pietro - Marco Saya Edizioni, Gennaio 2015

Rettangoli in cerca di un Pi Greco di Annamaria De Pietro – Marco Saya Edizioni, Gennaio 2015

Di ANNAMARIA DE PIETRO

*

La perfettissima madre

Da lei accompagna i cani chiusi fuori,
i gatti che alla porta
aspettano, alla figlia dei suoi amori,
al suo sguardo che ascolta
fole di volpi, di rane racconta,
leggende di castori.

Così era mia madre, Carla occhi di nebbia.

*

Di spalle

Rapido è il giro del sole. In istanti
pochi si sposta sul tavolo la linea d’ombra
in progresso che anticipa gli esitanti
progressi di tramonto contro l’ora che sgombra.

È mia abitudine seguire sul campo di gioco del tavolo della cucina, che è molto accostato alla finestra, progrediente e regrediente con il ciclo delle stagioni la linea di sole e d’ombra, la sua carriera di conquista e perdita a cadenza lentissima del territorio strategico del tavolo di cucina. È come giocare coi soldatini, Washington, Kutuzov, Napoleone nel loro quartier generale; i maschi lo fanno da piccoli, le femmine da grandi.
*

Il velo

Amante e amato nebbia traslucente
disgiunge, e quella cosa non è cosa,
né corpo. Come il velo di una sposa
resta alle spalle, muda di serpente.

Solo un messaggero in ritardo, un sonnifero frainteso spezzano irreparabilmente il giovane arco dell’amore di Romeo e Giulietta? Non credo. Se andate in gita domenicale nella bella Verona guardate quanto è distante il selciato della corte dal balcone, guardate come non esiste il rampicante che fu scala al funambolo, guardate come l’aria d’Adige soffia foschia. Guardate.

*

La schermante

Aspetta il tempo, come se non fosse
tempo quello che passa nei ritardi
– così un nastro nel lino. E se la tosse
che scoppia nelle canne i suoi petardi
non fosse il suo respiro, ma percosse
di tamburi a una festa fra stendardi.

Scherzare sopra la mia tosse è quasi obbligatoria pratica di fumatrice. Scherzare sopra il tempo è pratica quasi obbligatoria. Scherzare – schermare.

*

Tecnofagia

La casta madre senza fame becca
la curvatura esatta delle uova
voltata senza grinza e senza pecca.
La tavola è la paglia della cova.

 

Le galline mi terrorizzano. Credo fermamente che siano l’incarnazione di Satana che, protruse in parto immondo due luride zampe a croste di serpente scabbioso, se ne va urlando stupido e cattivo e dà di becco nelle ferite delle compagne di pollaio e in tutte le porcate catarrose che il suo occhio feroce trova in terra; né si astiene dalla sua propria figliolanza, sbranando crudo dentro l’ipotesi perfetta di dio il saporoso tuorlo di sé stesso.
Dico questo anche a nome di tutti i gatti neri del creato.

*

La quinta aperta
Ma tu che nei cassoni hai chiuso il vento,
non metterti paura se i pavoni,
se il vetro, se le spade, se i cicloni,
se dai coperchi aperti scappa il vento.

Disse il vento alla foglia: “Non sono io che ti porto, è la tua vela fragile, la sua tela leggera. E il luogo in cui ti fermerai non sarà fatto di vento, sarà una casa piccola, la tua piccola casa di cenere”.
Rispose al vento la foglia: “Vieni con me, qualunque sia il tuo fare e il tuo non fare, perché cadendo io non mi faccia male. E pensa tu alla cenere: io non potrò più farlo. Falla volare, portala, di casa in casa in ogni strada, fino all’estrema cortesia di una soglia”.

*

La fisica della caduta dei gravi,
ovvero
La creazione progressiva di dio
Ti prende come cadi telo teso
fra i pali che drizzarono maestranze
al soldo del gran re delle distanze,
delle altezze, dei termini, e del peso.

Quando a decine si precipitarono giù a capofitto dalle Twin Towers legione di dèi minori di tutti i miti e di tutti i riti si precipitò, con una certa calma, a squadernare per ciascun cadente, tirando ai quattro angoli, teli ben tesi di tutte le stoffe e di tutti i colori. Ma prevaleva il pizzo ad ago color del tempo (ricordi Pelle d’asino?), e così per le belle scalee dell’aria planavano a capofitto i paramenti sacri, le pianete, le gualdrappe, i tappeti volanti, fini e leggeri, ciascuno treccia e frangia dell’aria, giù agli accampamenti nomadi degli stracciai.

*

Rio de la Plata
La morte argento impallidisce il fiume
(dalle terre coi sacchi porta argento).
Il fiume il mare impallidisce dentro,
argento d’aria che svuota le schiume.

Il ciclo dell’acqua è ricolmo, è rigonfio di cose solide che ininterrottamente gli nascono, gli muoiono dentro. La più vecchia è l’argento, suo mirifico avatar pesante, suo agghiacciato paredro.

*

L’astrologia,
ovvero
Le case scambiate
Tu non saresti più quell’astro grande
che non si vede, ma che splende certo
in altra zona di un cielo coperto
se tu, non io, ponessi le domande.

Dio non esiste, a mio parere; ne ho una certezza indiziaria, per quel che vale. Ma esiste la parola dio, e allora ecco che subitamente si apre tutto il teatro della storia di dio, e della sua antropologia comparata, adiuvanti tutte le presenze e figure del cosmo; e quali presenze e figure meglio degli astri, bellezza estrema e lontana, saranno a scambio gli attrezzisti, i mascherati servi di scena?

*

Dell’addensare
Tutta si volta al denso la manteca
da fuoco e forza per sparse materie
dentro una norma dura, alta temperie
vittoria sopra la pausa che spreca.

Manteca è una di quelle parole spagnole – come ventana, madrugada, tienda de ultramarinos, che pare vadano a cavallo, cappello piumato, in un vento di vaste pianure.
Dirle, scriverle, è entusiasmante, con la gratitudine di chi sia stato ammesso ad un verdadero diwan d’Occidente dove è la riva dell’Oceano Mare.

*

Ombre cinesi
Vòltati. Di qua cresce bene l’ombra.
Non troppo sole, non troppa acqua,
l’innaffiatoio è di zinco verde e lacca
cinese, di Shangai, con chiodi d’ambra.

Mi piace poco la forma cinese, forse anche perché ormai irreparabilmente banalizzata dalla cineseria, da quella nobile delle belle porcellane e terraglie settecentesche all’esecranda paccottiglia per turisti stanziali. Pure vedo anch’io che un suo fascino ce l’ha; ad ogni modo qui, per non deflettere troppo dal mio dichiarato gusto dominante, non lo tengo per me, e ne faccio esortazione e dono, a chi lo vuole, cineseria di cortesia.

*

La granata
Non maggiore di un astro, non minore
di un ovetto di ghiaia, ma di quel calmo
giusto circuito che sta dentro il palmo
di una mano è la granata dell’amore.

 
Millantato equilibrio. Dalla coppa da champagne al vulcano Etna tutte le misure sono ammesse.
*

Aerostatica dei fluidi

Una zanzara centifolia irrompe la spina
contro la spina del sangue e calma le scale
montanti per la minuta furia elicoidale
dalla cannula infusa da una ciliegia corvina.

Questa zanzara alchimista e molto paludata mi fa più paura di quanto normalmente dovrebbe una zanzara. Una volta colpivano solo di notte. Ora, da qualche anno avendo esteso l’attività alle ore diurne, hanno perso buona parte della loro aura gotica e corvina; a questa mia zanzara di passo e di quartina l’ho reintegrata io, in omaggio all’aura e al buon tempo antico. E, couturière tassidermista, l’ho abbigliata centifolia, mostro natural-artificiale da margraviale wunderkammer.

*

Autocombustione

Lacca bruciata. Luna è una caldaia
cava, rame brunito, che bollente
raggrinza e strina la placca lucente
tutta che gira, compaia o scompaia.

Quando la luna è gialla caramellata ha un buon sapore dolce e appena appena di bruciaticcio. Allora la grande stella che sempre l’accompagna girandole attorno da una parte e dall’altra (non so se sia Espero-Lucifero, ma diciamo che lo è perché così ci piace) quasi non la riconosce, tanto cambiata dal comune candore condiviso, e quasi non si azzarda a dirle – luna.

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Annamaria De Pietro è nata a Napoli, dove ha vissuto fino all’adolescenza, da padre napoletano e madre lombarda. Vive da tempo a Milano. Ha cominciato a scrivere non occasionalmente, ma sempre, in età matura. La sua prima pubblicazione in versi risale al 1997: Il nodo nell’inventario (Dominioni Editore, Como 1997). Sono seguiti Dubbi a Flora (Edizioni La Copia, Siena 2000), La madrevite (Manni, Lecce 2000), Venti fusioni a cera persa (Manni, Lecce 2002). Nel 2005 pubblica un libro in napoletano, Si vuo’ ‘o ciardino (Book Editore, 2005), col quale paga il suo tributo alla città d’origine, poco amata, mai più visitata. Nell’ottobre del 2012 esce Magdeburgo in Ratisbona (Milanocosa Edizioni, Milano, 2012). Rettangoli in cerca di un Pi Greco – Il primo libro delle quartine (Marco Saya Edizioni, 2015) è la sua ultima pubblicazione.


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