
Lo ricordo ancora come fosse ieri. Era l'estate del 2008 e avevo appena visto al cinema Il cavaliere oscuro, rimanendone folgorato come solo un diciottenne poteva rimanerne. Quel giorno decisi che dovevo recuperare il resto della filmografia di Christopher Nolan, del quale avevo visto solo Batman begins, e scoprii così anche due capolavoroni come Memento e The prestige. Credo che fu da quel giorno che mi venne l'incredibile smania di recuperare i lavori passati dei registi che hanno realizzato film che mi piacciono un sacco, perché poco dopo vidi Il labirinto del fauno e mi misi a recuperare a velocità stratosferica tutti i lavori di Guillermo del Toro, giusto in tempo per vedermi al cinema The Golden Army. Stranamente, con Birdman è successo qualcosa di anomalo, perché nonostante il film mi sia piaciuto moltissimo non mi sono tuffato nel resto della cinematografia di Iñàrritu. Un po' perché altri suoi film avevo già avuto modo di vederli e, per quanto mi fossero piaciuti molto, non avevo gridato al miracolo, un po' anche per una sorta di pigrizia e, soprattutto, anche per il fatto che avevo percepito un drastico cambiamento di stile che mi aveva fatto decidere di godermi la sua 'evoluzione' un poco alla volta, senza fretta e con tutti i fattori del caso. Di certo quel film mi aveva lasciato una grande curiosità su cosa avrebbe fatto dopo ed è per questo che la smania per questo The revenant, forse uno dei film più attesi della stagione, si era fatta abbastanza palpitante. Perché dopo un'opera così complessa e coraggiosa il messicano cos'altro avrebbe potuto tirare fuori dal suo
1823, Nord Dakota. Un gruppo di uomini, recatisi lì per una una battuta di caccia, sfugge a un attacco degli indiani Ree. Durante il loro girovagare il trapper Hugh Glass rimane ferito da uno scontro con un orso, cosa che rallenta ulteriormente il manipolo di uomini. Impossibilitati a portarlo con sé, decidono di lasciarlo sotto la guida del figlio mezzosangue (avuto da una moglie Pawnee), del giovane Jim Bridger e dell'ambiguo John Fitzgerald. Fino a che, quest'ultimo...
Un film che ancora prima della sua uscita è diventato una sorta di cult. Un po' per l'enfasi con cui è stato accolto il precedente lavoro del regista, ma anche per la complicata lavorazione che ha segnato questa pellicola. Iñàrritu, per quanto possibile, ha cercato di girare il film in maniera quasi cronologica, avvalendosi quasi unicamente della luce naturale (gestita magistralmente dal consolidato Emmanuel Lubezki), cosa che ha portato la troupe a girare ad orari improponibili e in zone dove si raggiungevano i trenta gradi sotto zero. A seguire poi Facebook è stato invaso dai soliti meme su DiCaprio che fa di tutto per vincere l'Oscar, fino a farselo soffiare dal grizzly che lo aggredisce, ma questa è una gag che ormai ha stufato anche me - e io sono uno che sta ridendo da un mese per questa cosa. Le aspettative quindi erano altine e, da quel che leggo in giro, a questo giro in molti si sono divisi. C'è chi lo definisce un capolavoro mentre l'altra metà un film visivamente stupendo ma concettualmente davvero vuoto. Io qui ritorno alle mie vecchi abitudini, ovvero che fra i due schieramenti scelgo di mettermi nel mezzo, dando ragione un po' agli uni ma a che agli altri in egual misura. Tutto questo per dire che The revenant sì, è un bel film e mi è piaciuto, ma molte delle critiche che gli sono state rivolte contro non me la sento di negarle del tutto. Sicuramente qui siamo davanti a vero cinema, un cinema che racconta storie semplici e lo fa col solo ausilio delle immagini, creando sequenze di pura bellezza che non potranno che incantare chiunque abbia un minimo di gusto estetico. Basta la scena iniziale per farti capire che a livello tecnico questa pellicola fa le scarpe a molte cose che si sono viste ultimamente e, lo ammetto, è bastato quel piano sequenza (si ricade nel vizietto...!) per farmi entrare subito nel mood giusto. Da questo punto di vista, quindi, il film non delude di certo. C'è un ritmo molto lento e riflessivo ma è un particolare che a me, quando è usato coscienziosamente, non annoia - per dire, mi sono rivisto più volte senza problemi Valhalla rising e non esiterei a rifarlo. I veri problemi per me vengono quando la storia è avviata perché, diciamolo chiaramente, due ore e mezza per un film simile sono troppe. Ci sono momenti che effettivamente allungano il brodo e, per quanto anche lo spettatore più beota arriva a capire che la fortuna è cieca ma il povero Glass (anche qua, DiCaprio molto bravo come sempre, ma per me Tom Hardy ruba la scena a tutti, complice anche un personaggio meglio caratterizzato e pregiato dalla propria ambiguità) ha scritto sfigato sulla fronte in braille, alla lunga certe situazioni diventano ripetitive. Una in particolare - se dico 'burrone' ci arrivate? - l'ho trovata davvero ridicola e, mi duole dirlo, mi ha creato un attimo di straniamento, così come alcuni momenti onirici che non mi sono sembrati ben amalgamati nel contesto. Iñarritu ha giocato a fare il Malick della situazione e l'ha fatta un po' fuori dal vasino, certo, senza fare danni irreparabili e creando delle sequenze di puro cinema, ma per me a una certa non danno una vera dimensione a un film che più di una volta corre il rischio di non essere né carne né pesce. E' una cosa propria e personalissima, senza dubbio, ma adagiata in un limbo che non lo fa sembrare di questa dimensione. Il che non è di certo un male, sono rischi che si possono correre quando si ha il coraggio di fare qualcosa di diverso, senza inchinarsi davanti ai voleri di nessuno, e il buon Alejandro ha avuto un fegato davvero assurdo. Anche nel realizzare un film che magari non è il capolavoro che sentiva di star facendo o che avrebbe voluto fosse, ma almeno è riuscito a mettere in scena una sua particolare visione che sono sicuro finirà per distaccarsi da quasi tutte le cose che vedremo in questa annata. Un film basico ma che cerca di meravigliare, che parla di sensazioni animali e che fa diventare i propri personaggi, uno più tormentato dell'altro (chi è alla fine il vero redivivo?), proprio come degli animali. Non a caso l'istinto alla sopravvivenza è la funzione primordiale di ogni creatura, e non a caso ogni cosa verrà lasciata a chi detiene un potere superiore a quello umano.Operazione curiosa e ambiziosa, che come il precedente lavoro di Iñarritu cerca di volare in alto. Ma qui si parla di uomini che strisciano per terra, non di esseri con le ali.Voto: ★★★ ½





