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L'originalità latita, il qualunquismo è d'obbligo. "Hop" è un product-placement pasquale made in Usa di dubbio valore artistico, anonimo e iper-infantile. E' un buon compendio di tecnica e un live-action discreto nella forma, ma è anche un supponente e insopportabile film senza uno scopo che non sia il semplice intrattenimento di bassa lega. Piacerà ai bambini (alle prese con un nuovo Santa Claus, il "Coniglio pasquale" da spennare con richieste festive) meno agli adulti. La carie, dopo l'abbuffata visiva di leccornie accattivanti, è il male minore. Ciò che è peggio è la riproposizione di un semplice clichè, il conflitto generazionale, come unico collante di un intreccio privo di credibilità e di simpatia, che sia umano e non. E James Marsden rischia di essere ricordato per essere più finto ed imbolsito delle figure realizzate ad hoc per il film.
I film in live-action di nuova generazione non saranno mai in grado di avere un posto al sole che non sia solo legato al mercato e al successo distributivo, seguendo la strada intrapresa dalle recenti produzioni per infanti. Il rischio di uno scollamento troppo forte tra le due dimensioni, quella umana e quella perfettamente ricostruita, antropomorfa per certi versi, in dialogo tra loro, ha ormai raggiunto livelli di ridicolaggine imperdonabili. La banalizzazione, l'abbassamento a futili commistioni a fini solo commericali ha pregiudicato la stessa salute di grandi classici del passato come "Chi ha incastrato Roger Rabbit" di Zemeckis, uno dei pochi casi di uso intelligente del mezzo, per un exploit meritato ma irraggiungibile. La nuova generazione post-Zemeckis ha scelto invece di portare sullo schermo, spesso, soggetti accattivanti e già noti, o al massimo, come nel caso di "Hop", di reinventare ad uso e consumo capitalistico, tradizioni tipiche scegliendo momenti privi della giusta copertura economica (è il caso della Pasqua, da sempre sconfitta, in ambito cinematografico e non solo, nel confronto con il più appetibile Natale). E così, dopo "Stuart Little", "Scooby Doo", "Garfield" e la saga di immenso successo su "Alvin e i Chipmunks", "Hop" (diretto da un nome non nuovo nel settore, Tim Hill) è l'ennesimo prodotto per famiglie fine a sè stesso, carico di idealismo e di stereotipi, con attori in carne ed ossa a volte imbrazzanti (è il caso di Marsden, ma anche di Kaley Cuoco, senza contare il cammeo non-sense di David Hasselhoff). Evito di proferir parola sul doppiaggio italiano (Francesco Facchinetti irritante come pochi, reo di aver già messo mano e compromesso la riuscita di "Robots", e un Luca Argentero sprecato), ma non posso non sottolineare come questa tipologia di film non abbia nulla a vedere con l'arte cinematografica, al massimo, data la cura visiva, con un lavoro di artigianato (tecnico) di livello. Per casi di live-action con più credibilità, rivolgersi ad opere in cui il contatto reale/irreale è ridotto al minimo, come "Miss Potter", o a film che ne fanno uso in modo moderato e per singolo sequenze piuttosto che per un'intera struttura narrativa. Ho apprezzato "Looney Tunes: Back in Action" del 2003, ma qualcosa mi dice che in quel caso la mano di Joe Dante sia stata salvifica.
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