Magazine Cinema
Everything Must Go
Pellicola insolita per un attore gigione come Will Ferrell. "Everything must go" è un film amaro che non si concede all'emotività facile, arranca e non poco nel mettere un turbo e non riesce mai ad ingranare una marcia solida e stabile. Dan Rush, regista e screenwriter esordiente, è lontano miglia e miglia dalla Hollywood pacificata dell'"happy ending". E' uno dei tanti neo-indagatori delle storie e dei personaggi che si paventano dinanzi ai suoi occhi, più interessato al travaglio psicologico che al meccanismo narrativo cinematografico in sè. "Everything must go" finisce, per questo, per essere un film davvero insolito, lento e privo di momenti eclatanti, fino a diventare uno specchio quasi a senso unico del character principe, una sorta di inetto nuova maniera, travolto dal consumo di alcool e dalla conseguente caduta di tutte le sue certezze famigliari ed economiche. Ma il messaggio di speranza emerge e lascia il segno, mentre l'incontro con la nuova vicina di casa, l'espressiva Rebecca Hall, si confonde in un misto di tenerezza e attrazione sublimata. Sfuggente e angusto, non è consigliabile a chi non accetta cambi di rotta radicali nelle scelte interpretative di un attore. Ferrell, infatti, mette via la caratteristica demenzialità bambinesca in eccesso e sceglie un atteggiamento dimesso e complesso che è maturo, ma anche sconvolgente, in parte, considerati i suoi abituali standard.
Sex List ("What's your number?")
"What's your number?" è una delle tante commediole di serie b lanciate sul mercato statunitense quest'anno. Non è stata fortunata al botteghino, dopo la proliferazione di R-Rated Comedy nell'estate appena trascorsa e tale constatazione non richiede acute analisi specifiche. Anna Faris, infatti, non riesce a trasportare la sua dose innata ed esplosiva di simpatia con fortuna al cinema, tanto che il suo nome è ancora associato, troppo spesso, esclusivamente alla saga di "Scary Movie", al di là del divertente "La coniglietta di casa" in cui reinventa Marylin ma ha bisogno delle sostegno della strong Emma Stone, scricciolo rosso più duttile e giovanile. "What's your number?" non è la commedia perfetta, vive di un duetto (con il non molto espressivo Chris Evans) che funziona ma non brilla per empatia, è insieme figlio della grande trasformazione "sex-addict" del genere in America, chiamata a rispolverare i vecchi classici dualismi di canovaccio aggiungendo un tocco di pepe e qualche nudità che fa tanto liberal, senza una vera idea originale che possa consentire uno sviluppo narrativo solido. "What's your number?" è piuttosto anonimo e poco incisivo e maschera questa base di partenza contenutisticamente povera con il riferimento molteplice e scorretto al mondo sessuale privato della sua carica erotica e divenuto il solito gioco dei numeri e giù di li. Il regista, Mark Mylod, è perfetto sin dal curriculum (la serie "Shameless", la trasposizione cinematografica di "Ali G") per questa prospettiva e il film non manca di essere caustico e esilarante in certi punti, ma la scelta di campo ne limita la possibilità di rispondere ad esigenze multiple. La tematica romance non va a braccetto con l'angolazione politicamente scorretta della new-comedy e il risultato è altalenante e soprattutto privo di destinazione specifica. Non è un chick-flick, ma nemmeno un buddy-movie puro e la Faris perde progressivamente brio e personalità costretta a ripetere battute spesso scontate e ritrite.
Ma come fa a fare tutto? ("I Don't Know How She Does It")
Sarah Jessica Parker ha un rapporto ormai problematico con il grande schermo. Dopo aver, in soli due film al cinema, cancellato tutte le prerogative di successo di una serie tv storica di cui è stata protagonista, nel bene e nel male, quel "Sex & the City" che ha riscritto i codici televisivi un decennio fa, e dopo aver girato uno dei titoli più bistrattati di tutti i tempi in tandem con l'altrettanto antipatico Hugh Grant ("Che fine hanno fatto i Morgan?"), la Parker non è riuscita a tenersi lontana dalle scene per un anno e in questa stagione ha inanellato un altro failure senza precedenti, "Ma come fa a fare tutto?", commedia priva di ogni motivazione circa la sua realizzazione che ha riportato incassi miseri e confermato la scarsa attitudine alla recitazione di Miss. Carrie Bradshaw. Dallo script, piuttosto fastidioso e fumoso (le gesta da eroina di una madre lavoratrice benestante, in tempi di crisi economica, non sono il top), carico di tradizionalismo becero e accomodante e privo di una visione realistica sulla società, ai soliti clichè ultra-zuccherosi dei "figli abbandonati", senza un vero intreccio, ma con l'implicita descrizione meta-narrativa dall'interno, attraverso l'inflazionato strumento delle interviste, alle interpretazioni di un cast male assortito e davvero sprecato (Greg Kinnear, Pierce Brosnan e soprattutto la splendida Christina Hendricks di "Mad Men"), il tutto è completamente fallimentare. E il regista, Douglas McGrath, non un genio ma nemmeno l'ultimo arrivato, si trova suo malgrado a cercare di dare una parvenza cinematografica a qualcosa che è lontano anni luce da un interesse possibile da parte di un cinema, indie o meno, che possa dirsi tale. Manca il racconto, la narrazione, manca il film. Il vuoto incombe. La pochezza diventa estenuante.
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