Magazine Cinema
7.5 su 10
Sorpresina del mese, "Tamara Drewe" è la leggerezza fatta film. Stephen Frears ha coraggio da vendere e soprattutto una certa grazia inventiva nello scrivere, capace di unire elementi non del tutto normalizzati (e anche volgarotti) con spunti (le strisce della giornalista e sceneggiatrice originarie della graphic novel Moira Buffini) tipicamente british, con tanto di "countryside" classico di ottima fattura. In tutto questo, riesce, in più punti, a far ridere in modo contagioso, ma anche a mescolare i generi e a creare una storia difficile da intuire, scandita tramite l'alternanza delle stagioni, che non sembra avere una logicità chiara, o almeno si divide, fondamentalmente, in due parti molto diverse, tra primo e secondo tempo. Infatti come un romanzo che parte dalla descrizione dei personaggi in modo alternativo (ma la coralità è importante anche nelle peculiarità del singolo character ai fini narrativi) e giunge all'azione solo dopo una ricostruzione attenta e stratificata, così Frears organizza il film che condensa tutta la sua "azione" negli ultimi 40 minuti, creando una sorta di novità imprevista nello spettatore, che si disabitua a seguire l'ordine lento della prima parte e si trova di fronte ad una concatenazione irresistibile di eventi-chiave. E il finale è un ritorno alla calma originaria, magari ribaltando gli assunti di partenza. Gran struttura, insomma, e trovate geniali. I personaggi sono finti, sovraccaricati, non macchiette, ma pedine funzionali al disegno registico. Non a caso, ritorna continuamente il leit-Motiv di Thomas Hardy, con la sua immagine del burattinaio. E il regista non è che un suo "moderno-figlio" che si trova a dovere risolvere una pluralità di storie intrecciate sullo stesso personaggio, ambiguo, della bella Tamara Drewe, interpretata da una magnifica Gemma Artrton, coadiuvata da un cast altrettanto fuori le righe, con Dominic Coop e Luke Evans di bella presenza che cricondano la giovane giornalista, e un altro triangolo amoroso tra Tamsin Greig, Roger Allam e Bill Camp sullo sfondo, a sua volta sovrapposto al precedente, mentre acquista importanza il ruolo di due adolescenti combina-guai. Il tutto viene risolto in modo forzato, ma efficace e la pellicola diventa una simpatica e imperfetta egloga di modernità. Frears cambia, continuamente, e i risultati sono più che rimarchevoli. Una commedia del genere, british fino al midollo, l'Allen della trilogia "londinese" non potrebbe che sognarla.
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