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Review 2011 - "Winnie The Pooh : nuove avventure nel bosco dei 100 acri"

Creato il 21 giugno 2011 da Ludacri87



La bellezza non ha età e nemmeno attualità. La Disney torna a rispolverare la vecchia maniera, quella bidimensionale, sceglie un mito dell'infanzia di tutti, il pop-gadget Winnie The Pooh e tira fuori un film splendidamente fuori tempo massimo, tra articolazione narrativa elementare e poesia infantile. L'utopia si accompagna alla deliziosa ricostruzione formale, mentre ritorna, come una madeleine proustiana, a galla un passato individuale scolpito come una pierta nella mente di tutti, l'età della fanciulezza. Peccato che forse l'anacronismo e la demistificazione, ad oggi, siano le uniche possibilità adulte di lettura.
Il mito di Winnie The Pooh, da un punto di vista prettamente commerciale, non è destinato ad essere scalfito dalle mode passeggere provenienti dal Giappone e affini. Da un punto di vista artistico, invece, l'era dell'orso mieloso è finita da un pezzo. Va dato atto alla Disney di avere osato riportare a galla un formato, quello bidimensionale e quasi pittorico, ormai escluso del tutto o quasi dall'animazione di matrice hollywoodiana. In Francia c'è Chomet, il notevolissimo regista di opere d'arte animate malinconiche e silenti. In Giappone, lo Studio Ghibli si vanta di un Miyazaki affascinante, mentre qualche sorpresa arriva dalla stop motion intercontinentale. La Disney ha perso smalto a favore della facilmente vendibile Pixar, diventata il traino dell'azienda del vecchio Walt. E così dopo "Rapunzel", riconvertito in 3D, uscito lo stesso anno di "Toy Story 3", il binomio continua con l'affondo romantico di Winnie e la campagnia di merchandising del sequel di "Cars", il più debole della stagione Pixar da anni a questa parte. Allo stato attuale, non è molto difficile ipotizzare uno straordinario successo delle macchinine di Lasseter rispetto al candido bosco di Willie, visti anche i risultati imbarazzanti di quest'ultimo in molti botteghini europei. Ed è un peccato. Perchè la nuova avventura cinematografica del clan Willie è di una leggerezza inusuale, di una facilità debordante, di una semplicità perfetta per l'età scolare. Mi riferisco, forse (e da qui l'amarezza), ai bambini di qualche generazione fa, non a quelli da anni soggetti a processi di spettacolarizzazione tramite ogni mezzo comunicativo. Con una capacità minuziosa di analisi dei personaggi, sempre nei limiti del vecchio politically correct, e con una serie di storie legate, in un'ora scarsa di durata, "Winnie The Pooh: nuove avventure nel bosco dei 100 acri" è un'opera conciliante e normale, capace di aprire varchi mentali nella testa dei più grandi e di commuovere per la delicatezza, anche dei toni visivi, classici, come se l'innovazione tecnica ci avesse abbandonato, o almeno, per un attimo dimenticato. Il ritorno ai classsici minori della Disney è immediato, tra momenti musical e una voce narrativa che chiude il cerchio. Ed è questa la bellezza consolatoria del film, se non ci fosse la percezione reale che opere come queste rischino di essere cancellate dalla dimensione moderna dello "spettacolare", dell'artificio fine a sè stesso, dal cadeu inutile della tridimensione. Sui titoli di coda, canta Zooey Deschanel.

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