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Rezsõ e la canzone maledetta

Creato il 30 settembre 2012 da Blogdispiccioli @blogdispiccioli

Rezsõ e la canzone maledetta  Rezsõ viveva a Pest, la parte orientale della capitale ungherese, quella che solo qualche decennio prima si faceva scudo del Danubio per non unirsi a Buda. Pest in lingua ungherese significa “forno”, e proprio non poteva essere il posto più accogliente per un ebreo. Era un piccolo uomo, alto non più di un metro e cinquanta, capelli soffocati all’indietro dalla brillantina, sigaretta sempre in bocca e le due dita della mano destra a viaggiare sui tasti bianchi e neri del pianoforte. Qualche anno prima si era avventurato a lavorare per un circo itinerante facendo il trapezista, i centimetri d’altra parte erano quelli adatti. Ma una sera, durante uno spettacolo, mancò di un soffio il trapezio e cadde al suolo da un’altezza che avrebbe ucciso chiunque. Lui invece si salvò, perse solo l’uso completo della mano sinistra, che comunque riusciva a reggere la sigaretta e tanto bastava. Rezsõ Seress era una persona facilmente detestabile per un pubblico esigente ed espansivo, poteva risultare persino presuntuoso. 
Usava dinoccolarsi nascosto dietro il pianoforte senza prestare attenzione ad alcuna richiesta, la scaletta era la sua ed era completamente improvvisata. Non aveva mai studiato musica e questo lo poneva sulla difensiva, presentarsi come musicista era il modo peggiore per provare a parlargli. In realtà non aveva neanche un proprio pianoforte, il suo era quello del Kispipa, un noto ristorante di Budapest dove, dalle sei di sera in poi, lo si poteva ammirare mentre sfuggiva agli occhi ammirati di giovani perdigiorno, operai ebrei e puttane. A casa si esercitava su di un tavolo sopra il quale aveva dipinto una tastiera, e quel tavolo dipinto aveva contribuito a creare delle composizioni proprie. Rezsõ le realizzava lì per poi spacciarle al Kispipa come dei grandi classici austriaci. Segretamente, però, inseguiva il successo; non i soldi, di quelli non sapeva che farsene, ma la speranza che i suoi pezzi potessero venire apprezzati dal maggior numero di persone possibile o addirittura continuare a vivere oltre la propria esistenza. Per questo li registrava e li portava con sé a Parigi, la capitale artistica di quegli anni ’30, in cerca di una produzione. Ma fino ad allora aveva solo collezionato rifiuti, troppo tristi e cervellotiche le sue trame melodiche rese ancor meno commerciabili dalle liriche in lingua ungherese.
Al suo fianco c’era sempre Helénke, quella che veniva considerata la donna più bella di Pest. Per stare con lui aveva lasciato un colonnello, dato che riconosceva in quel piccolo uomo un talento immenso, ed incoraggiarlo era diventata una vera e propria missione. Rezsõ però trascinava quel rapporto nel tormento, si sentiva inadatto a ricambiare tutte quelle aspettative ed inseguiva il fallimento quasi a giustificare la sua ridondante malinconia. Poi avvenne la svolta. Il suo amico László gli propose un testo, straziante, intenso, e per l’epoca scioccante. La storia di un uomo che, in seguito alla fine di un amore, racconta gli ultimi momenti di una cupa domenica, quelli che precederanno il suo sucidio; rimedio inesorabile per riconciliarsi con l’amore perduto. Rezsõ la fa sua e nel corso di una domenica trascorsa in un fatiscente hotel parigino partorisce la musica. Aveva appena litigato per l’ennesima volta con Helénke e trasforma tutta quella frustrazione in canzone. 
Nasce così “Szomorú vasárnap”, brano che nella testa di Seress si appresta ad essere l’ennesima vittima di respingimento da parte dei produttori. L'inquietudine che trasmette la canzone supera ogni composizione scritta da lui precedentemente. Un produttore francese, catturato da quella melodia, decide di metterla in circolo, conquistando presto un successo enorme seguito dalla traduzione del testo in varie lingue. La prima traduzione inglese avviene per mano di Sam Lewis, dando vita a “Gloomy Sunday”. La versione definitiva verrà messa a punto da Billie Holiday qualche anno più tardi. Rezsõ e la canzone maledetta
Per Rezsõ arriva il successo tanto atteso, ma nella sua vita nulla cambia, nulla vuole che cambi. Continua a suonare al Kispipa che diventerà preda di curiosi provenienti da tutto il mondo, personaggi quali Arturo Toscanini, Luchino Visconti, Louis Armstrong, John Steinbeck e il duca di Galles si mischieranno nel corso degli anni all’umile pubblico di quel ristorante di Pest. Arrivano i soldi dei diritti d’autore, ma Rezsõ non se ne interessa. A Budapest gli farà anche visita il direttore di una banca americana dove sono depositati 370mila dollari, ma il compositore non si recherà mai negli Stati Uniti per prelevarli o chiederne il trasferimento. 

Il suo cruccio è la musica e l’ossessione di non poter mai più realizzare un successo di quelle dimensioni. Continua a vivere in un modesto appartamento, a comporre su quella tastiera dipinta e a portare il rapporto con Helénke ai confini della follia. Follia che troverà fine solo all’età di 69 anni, quando si getterà dalla sua finestra e, sopravvissuto ancora una volta per miracolo, si toglierà la vita in ospedale strozzandosi con uno spago, raggiungendo l’epilogo di “Gloomy Sunday”. Era il gennaio del 1968, e il personaggio non può non far venire alla mente la sofferenza e l’amore tormentato di un grandissimo della musica italiana, morto suicida esattamente un anno prima. Luigi Tenco, altra vicenda mai del tutto chiarita. Questa è la storia di Rezsõ Seress, ma “Gloomy Sunday” ha un percorso indipendente all’autore, risplende di luce propria o, per meglio dire, si incupisce della propria oscurità. Negli anni ’30 balzerà all’onore delle cronache per una serie di episodi inspiegabili e pazzeschi. Una catena di suicidi che travalica le frontiere.
Sunday is gloomy, My hours are slumberless Dearest the shadows I live with are numberless Little white flowers Will never awaken you Not where the black coach of Sorrow has taken you Angels have no thought Of ever returning you Would they be angry If I thought of joining you? Gloomy Sunday
Un giovane di Berlino, dopo avere richiesto ad un gruppo che si esibiva in un locale di eseguire la canzone, tornò a casa e si sparò un colpo di pistola alla testa, lamentandosi della tristezza che l'opprimeva e della melodia che non riusciva più a togliersi dalla mente.


Sette giorni dopo una giovane commessa, forse conoscente del precedente suicida, si impiccò. E accanto al suo corpo venne rinvenuto uno spartito della canzone.


Spartito che fu ritrovato anche accanto ad una segretaria di New York, suicidatasi con il gas. In una lettera la richiesta di suonare “Gloomy Sunday” al suo funerale.

Gloomy is Sunday, With shadows I spend it all My heart and I Have decided to end it all Soon there'll be candles And prayers that are said I know Let them not weep Let them know that I'm glad to go Death is no dream For in death I'm caressin' you With the last breath of my soul I'll be blessin' you Gloomy Sunday
Sempre nella Grande Mela, un anziano di 82 anni si gettò dalla finestra dopo aver suonato al piano "Szomorú vasárnap".


Una donna, in Gran Bretagna, fu ritrovata morta a causa di barbiturici e accanto al suo corpo, si diceva, fu rinvenuto nuovamente il testo del brano di Rezsõ. Fu ritrovata dai vicini infastiditi dalla musica alta che suonava continuamente le stesse note.

 Una ragazzina a Roma, dopo avere ascoltato la canzone, si buttò da un ponte.
Dreaming, I was only dreaming I wake and I find you asleep In the deep of my heart, dear Darling I hope That my dream never haunted you My heart is tellin' you How much I wanted you Gloomy Sunday
 

Nel 1941 la BBC proibì la trasmissione in radio della versione di Billie Holiday, ufficialmente a causa dell’eccessiva tristezza del testo in un periodo di grave difficoltà che vedeva il paese vittima di bombardamenti nazisti.
Il brano tornò a risuonare nelle emittenti inglesi solo negli anni 2000.
Molti artisti si sono avventurati nella reinterpretazione di “Gloomy Sunday”, creando nuove atmosfere o immedesimandosi nelle originali. Oltre a Sam Lewis e Billie Holiday, si registrano le versioni di Diamanda Galas, Björk e, caso più curioso, di Anton Lavey, organista di San Francisco ma soprattutto prete e fondatore della Chiesa di Satana.
Questo è il racconto un po’ documentato e un po’ romanzato di Rezs
õ e della sua canzone maledetta.
Non mi resta che augurarvi
buon ascolto…

Andrea McManaman


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