Magazine Cinema
RIAN JOHNSON
Looper (USA 2012, 118 min., col., fantascienza)
Lo stato attuale del sci-fi non è dei più allettanti. Di fatto, niente di nuovo sul fronte della fantascienza, niente che non sia riciclo di vecchi soggetti o codici narrativi; la tendenza contemporanea a recuperare il passato si estende paradossalmente anche al genere del futuro per eccellenza. E' evidente come personaggi e contesti (Prometheus), ambientazioni (Cloud Atlas) e tematiche (Eva) si aggrappino inesorabilmente al già visto, sentito e discusso.
A questa convenzione non scappa neanche Looper di Rian Johnson. Avvincente e stimolante quanto basta per un pubblico in cerca di azione e divertimento, ma niente di nuovo sotto il sole: viaggio nel tempo e telecinesi sono i pilastri della cigolante architettura messa in piedi da Johnson. Esiste poi ovviamente il fattore "umano" che è la ragion d'essere e il messaggio (che brutta parola) del film, cioè il sacrificio della logica individuale (il caro, vecchio e insostituibile capitale) in favore di un futuro un pò più "accettabile" per l'umanità, non esageriamo, di un certo gruppo di persone. Se c'è una parola che salta in mente a una prima visione è contaminazione di generi, azione noir thriller e, ovviamente, fantascienza. Se il suo soggetto si fosse limitato alla storia di un killer che deve uccidere il sè stesso del futuro, avremmo amato Looper nè più nè meno del modo in cui è stato effettivamente realizzato, vale a dire con la vicenda tangenziale del bimbo con superpoteri destinato a diventare l'imperatore del crimine del futuro causa: (vediamo un pò) trauma infantile. E il killer tornato indietro per ucciderlo? Qualcuno ha mai visto Terminator? Io sì.
Non fraintendiamo: il riciclo non è tanto male se consideriamo che il risultato finale è buono. Tra i film di cui prima, Looper è il meno ambizioso e contemporaneamente il più bello. E' entertainment puro e senza fronzoli, si avvale di una progressione enigmatica che riesce a non uscire mai fuori contesto; alcune parti poi sono realizzate con grande cura, mi riferisco soprattutto alla sequenza ambientata nella casa in campagna, in cui il ritmo perde velocità per guadagnare in tensione, sfogata magnificamente nel finale. Altra sequenza memorabile è il "riassunto" della vita del protagonista interpretato da Gordon-Levitt che si evolve nella figura un tantino più matura e virile di Bruce Willis. A proposito di Gordon Levitt: ormai lo troviamo dappertutto e onestamente non mi convince affatto; la scena in cui il suo capo lo rimprovera per i suoi vestiti e il suo modo di fare retrò sono abbastanza chiarificatori della figura di questo attore che cavalca l'onda della passato-mania. A proposito di Willis, beh: è Bruce Willis, prendere o lasciare.
Stefano Uboldi
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