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qualche ora fa, quindici ottobre 2011, c’è stata la famosa e strombazzata manifestazione interplanetaria di protesta contro la crisi imperante di cui non s’intravede l’uscita e contro i politicanti complici che vigilano come ratti sulla montagnetta di immondizia della finanza globale. a Roma- nel “corteo” tra piazza Esedra e San Giovanni- c’è stato di tutto: blindati in fiamme, bombe carta, incendi, lacrimogeni e tutto l’armamentario tipico del caso, roba che, almeno nel nostro paese (ed escludendo i cosiddetti “incidenti” del dicembre scorso a Montecitorio), non si vedeva dal G8 genovese del 2001 (e basti guardare i titoli che rievocano i black bloc). subito parte la dissociazione degli indignados nostrani dai soliti facinorosi, “noi (intendendo i “pacifici”) siamo il 99 per cento”, oppure “i soliti cento stupidi violenti che rovinano tutto”. appunto. in pratica- per questo 99 per cento- si è trattato della solita passeggiata un po’ vivace per il centro, assieme agli amici di sempre, a canticchiare i soliti slogan triti e ritriti che si sentono da una vita. a quanto pare, non c’è speranza per noi: agli italiani sembrano mancare le palle e- soprattutto- la lucidità, per fare quello che in Spagna e persino nella superpotenza statunitense si fa: tentare di cambiare lo status quo. quelli in piazza non sembravano nemmeno la brutta copia degli indignati di Spagna, anzi non sono nemmeno della stessa razza: da come si sono mostrati, sembra piuttosto che a loro, il sistema così com’è, non è che dispiaccia più di tanto; a loro- come dire- basterebbe solo che ci si facesse più stretti…
confesso che un po’ ci avevo sperato, nei giorni precedenti, e mi ero convinto a presenziare a quello che di lì a poco si sarebbe trasformato nell’ennesimo girotondo cretino. parlando e condividendo idee sembrava che qualcuno avesse una reale volontà di fare qualcosa. ma questi erano veramente pochi (li posso contare sulle dita di una mano). intervistati da trasmissioni televisive pseudo-alternative (su lasette, ad esempio, la sera del tredici ottobre), i cosiddetti portavoce dei movimentisti palesavano però subito gli inguaribili limiti strutturali del loro pensiero: in una lamentazione, parecchio colorita e catchy, ma tragicamente contraddittoria e relativamente poco appassionata, tentavano un dialogo con un qualche ministro sordo a qualsiasi richiesta e un qualche intellettuale sinistrorso poco convincente e poco convinto. se questa rappresentava l’occasione per presentare il movimento, il 15 ottobre si preannunciava un fallimento già in partenza.
d’altro canto, ci si può chiedere se, in fondo, avesse ragione Vaneigem che auspicava e ci chiedeva un appoggio totale a qualsiasi situazione di opposizione al sistema e al suo apparato repressivo, semplicemente per non far “arretrare l’umanità” e per non scadere nel radicalismo massimalista, come forse io ho fatto scrivendo queste righe. il fatto è che lo scarto tra “il dire” e “il fare”, nella situazione italiana, è abissale.
tirando le somme: il movimento del 15-M (quello spagnolo) mostra già ben più di una crepa. la piattaforma Democracia Real Ya (DRY) già si sta affannando per trarre, dagli indignados, una formazione partitica che si presenti alle più vicine elezioni, quindi rinunciando praticamente a tutte le emozionanti forme di autogestione assembleare avutesi finora (tra grupos de trabajo e de barrios), esperienze sentite, aggregative e mai sterili.
ma se, invece di continuare a scrivere slogan (per carità, alcuni anche commoventi, ironici e sagaci), invece di camminare per strade presidiate e usare le manifestazioni come palliativo alla nostra slavata coscienza borghese, smettessimo tutti di re-iterare, sostenere e legittimare il sistema di ladrocinio programmatico del teatrino politico? insomma, se tutti smettessimo di votare? secondo la mia contestabilissima opinione, sarebbe un affronto che difficilmente la classe dirigenziale saprebbe gestire. altro che passeggiatina per via Nazionale.
i link:a Roma, le reazioni dei politici: niente di nuovoaltri punti di vista: qui e qui
il delirio?
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