Ricatto senza riscatto

Creato il 13 agosto 2013 da Albertocapece

Anna Lombroso per il Simplicissimus

Ricatto, secondo il dizionario: “estorsione di denaro o di altri favori con minacce, richiesta impossibile da rifiutare”.

Ce ne intendiamo ormai di ricatto, diventato sistema di governo. Salute in cambio del salario, diritti in cambio del posto, dimissioni in cambio di un lavoro per i figli. Ce ne intendiamo di tutta la gamma di capestri, nodi scorsoi, corde per impiccarci offerti con dovizia come inevitabile prezzo da pagare per una salvezza che si allontana sempre di più, o per riguadagnarci l’appartenenza al supponente ed esigente contesto occidentale, o come inevitabile e meritata punizione per fanciulleschi comportamenti dissipatori, spendaccioni e scriteriati.

Ce ne intendiamo di liberatorie in bianco all’atto dell’assunzione, di comportamenti antisindacali tramite iniqui referendum, di sofisticate censure che spingono alla rinuncia volontaria della libera espressione ed opinione,  di ferie obbligate nei call center, di prepensionamenti e esodi estorti, di acrobatiche occupazioni flessibili, insomma di tutte le oscene formule irregolari create dall’economia informale che aspira a diventare festosamente illegale.

Ce ne intendiamo anche di una legalità discrezionale, intermittente, arbitraria, debole coi forti e forte coi deboli, indulgente e comprensiva coi padroni e con i loro vizi pubblici, severa ed inflessibile coi poveri, condannati ad esserlo sempre di più, espropriati di denaro, diritti e anche della giustizia, che, se fa il suo mestiere, succede che venga applicata solo contro di loro e sospesa a beneficio dei potenti.

Ce ne intendiamo di ricatti, sappiamo cosa sono e è facile distinguere tra vittime e carnefici, tra estorsori e danneggiati, tra cravattai e succubi. Sarà per questo che non se ne può più dei titoloni sul Pd ricattato da Berlusconi, sul governo minacciato che a sua volta è costretto a intimidire i cittadini, in un perverso gioco di scatole cinesi dell’indegnità e della disonesta dimissione dalla responsabilità.

 Mica siamo di fronte a una allegoria governativa della Sindrome di Stoccolma, con ostaggi intimoriti e insidiati dagli aguzzini. Siamo invece a un lampante e esemplare caso di depravata complicità, di impudica correità senza remissione, di una rappresentazione cialtrona e sgangherata con l’attribuzione delle parti in commedia: attori che fanno finta di litigare, duelli con gli spadoni di legno, paladini coi mori, crociati con gli infedeli, tutti protesi a conquistare il santo sepolcro delle nostre speranze, incrementando le disuguaglianze per essere più uguali degli altri, le differenze per essere più speciali, le prepotenze per essere più potenti, le povertà per essere più ricchi, la democrazia per essere più dispotici.

Non è ricattato chi più che subire, promuove, assolve e favorisce il carnefice cui a forza di desiderarlo, assomiglia nella perversa identità di obiettivi tossici e maligni, lasciando per vent’anni irrisolto il nodo del conflitto dì interesse ormai largamente condiviso, approfittando implicitamente delle leggi ad personam, accogliendo ed inglobando l’iedologia della privatizzazione in economia e in politica, abbracciando entusiasticamente le ipotesi di stravolgimento della Costituzione, suffragando le menzogne a proposito della desiderabilità della rinuncia alla sovranità in cambio della finzione europea, contribuendo allo svuotamento della rappresentanza consegnando il mandato ai tecnici, alla decretazione, alla proterva e insinuante influenza degli stessi padroni, mantenendo scrupolosamente un sistema elettorale studiato per la conservazione più cieca e regressiva, contravvenendo spavaldamente al parere dei cittadini, espresso tramite referendum, in una sguaiata simulazione di una guerra, nella quale il nemico, fuori dal teatro delle parti, siamo noi, i ricattati siamo noi, le vittime siamo noi. Se li lasciamo fare, però, diventiamo complici.


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