di Simone Provenzano
A che scopo una ricerca interiore?
Facciamo un gioco insieme.
Giochiamo agli esploratori di noi stessi.
L’essere umano è indubbiamente figlio dell’evoluzione. Con il veloce trascorrere dei millenni abbiamo acquisito caratteristiche che hanno mutato radicalmente il modo in cui affrontiamo la vita.
È giusto non dimenticarlo mai. Noi siamo natura. Ne facciamo parte.
Siamo animaletti simpatici che hanno preso coscienza di se stessi e che si ritrovano a erigersi sopra la creazione di cui fanno parte. È come se un albero decidesse di voler fare a meno delle radici, o come se ad un pesce iniziasse a restare antipatica l’acqua e volesse liberarsene.
Allo stesso modo, spesso, ci troviamo a negare, o semplicemente non pensare, alla umana natura. Ci vestiamo, guidiamo mezzi meccanici da noi stessi concepiti e costruiti, usiamo il mondo come un piccolo laboratorio di chimica, mescolando varie cose e sfruttando quelle che decidiamo utili.
Siamo diventati come vampiri. Ci nutriamo di tutto il resto della natura. Siamo l’unico animale che beve e riesce a digerire il latte in età adulta. Riusciamo a prendere il nutrimento essenziale di un piccolo di un’altra specie e riusciamo a digerirlo.
Questa è evoluzione. Questo è ciò che ci ha portato qui adesso: la capacità di sfruttare tutto ciò che ci circonda, rimescolandolo in un atto creativo.
Quasi tutti gli animali vengono plasmati nella loro natura dall’ambiente in cui vivono. Noi riusciamo a fare anche l’opposto. Noi siamo in grado di plasmare l’ambiente adattandolo alle nostre necessità.
Modifichiamo il nostro habitat a piacimento ma non possiamo allontanarci troppo dalla natura. Ci proviamo, ma con risultati pessimi. Le solite cose, sintomi nevrotici che accorrono richiamati dalla distanza che vogliamo porre tra noi e la nostra natura.
La natura scacciata si vendica al galoppo
Provate a pensare all’inconscio come a qualcosa che ancora funziona come tramite tra il lupo che ulula nel bosco e il dirigente che siede in ufficio scrivendo una mail. Provate ad immaginare l’inconscio come il contenitore di tutte le vite passate, qualcosa in cui ancora è viva la memoria del primo fuoco, la paura del buio e lo stupore per l’alba.
Provate a pensare in modo evoluzionistico al vostro inconscio. Pensatelo come garante della vostra natura. Guardiano del faro. Più che la giusta rotta ci indica gli scogli da evitare.
È solo un gioco. Una speculazione.
Ma è un gioco molto utile. Pensare di possedere una forza che riesce a vedere cose che noi non vediamo, a percepire pericoli che noi non percepiamo, a sentire il mondo in un modo antico, con antenne invisibili ed ancestrali, significa avere la possibilità di stare meglio. È come avere una Ferrari in garage e non sapere di possederla.
Il gioco di oggi è questo.
Avete una Ferrari in garage. Ora lo sapete. La lasciamo li?
O impariamo a guidarla?
p.s.
Vi lascio con un consueto pensiero altrui. Oggi tocca ad un Premio Nobel, André Gide:
Non credo affatto che l’ultima parola della saggezza sia d’abbandonarsi alla natura e di lasciare libero corso agli istinti; ma credo che prima di cercar di ridurli e addomesticarli sia importante capirli bene: perché molte delle disarmonie di cui dobbiamo soffrire sono soltanto apparenti, e dovute soltanto a errori d’interpretazione.
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