Richard B. Riddick è un umano nato su Furya, un pianeta dotato di un clima estremo, anche a causa della particolare orbita che esso percorre, che costringe gli abitanti ad adattarsi e sopravvivere, o morire.
Resta anche una tra le figure eroiche e iconiche più potenti della fantascienza recente, oltre che un grandissimo spreco.
Per certi versi, un personaggio come Riddick avrebbe potuto, potrebbe ancora assurgere ai fasti del Conan di Robert Howard, ben prestandosi, date le sue caratteristiche intrinseche, alla serializzazione, e quindi alla scrittura di innumerevoli storie aventi lui, e le sue caratteristiche precipue, protagonista assoluto. Parlo naturalmente di prodotti di qualità, non dei timidi videogiochi che lo vedono protagonista, qualcosa che possa fare epoca come La Spada Selvaggia di Conan, o altre testate simili, o quant’altro che si sarebbe potuto realizzare e non è stato (ancora) fatto.
Già un paragone con Conan è qualcosa di più che un semplice azzardo, ipotesi che ho già avanzato nella recensione a Riddick, e che è rafforzata da alcune immagini che vedono Riddick richiamare, per posa e situazione, il Cimmero sul trono di Aquilonia, nella versione dell’immaginario barbarico di John Milius, però, che come sappiamo con l’originale barbaro howardiano ha poco a che vedere.
Riddick trae le sue origini mitologiche, i suoi antecedenti, non dalla letteratura coeva e da un un passato mitico del mondo, ma dal futuro remoto della specie umana, in una colonizzazione spaziale che è talmente avanzata e spinta di là con gli anni, che è una riscrittura, anch’essa barbarica, della storia della nostra specie.
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Tornando al protagonista in sé, Riddick è una creazione riuscita.
Pensando a quanti personaggi ci scorrono davanti agli occhi, in innumerevoli libri o film, quelli più riusciti, che non faticano a sedimentare nell’immaginario, creando innanzitutto omaggi artistici, sono i più semplici. In questo caso, Riddick rispetta le norme elementari dell’icona:
- nome breve, di facile memorizzazione, dal suono in qualche maniera aggressivo che asseconda, o evoca, l’indole non proprio gentile del personaggio
- estetica: capelli rasati, abiti scuri e semplici, lame affilate
- caratteristica intrinseca: la capacità di vedere al buio
- ornamento: è dotato di una cattiva fama, spesso ingigantita dal pettegolezzo
Quattro punti salienti, a cui si aggiungono i nomi evocativi delle carceri di massima sicurezza da cui è riuscito a fuggire, quali Butcher Bay e Crematoria, la sfumatura cyberpunk dell’operazione alle retine, che gli consente di vedere al buio e gli dona un ulteriore tratto estetico inconfondibile, quel riflesso degli occhi, che permette a coloro che lo ritraggono giochi di luce suggestivi, e un monologo riuscitissimo, quello delle vertebre lombari, ed ecco il personaggio consegnato alla storia. Completo così, senza ulteriore bisogno di approfondimento, perché il mistero sulle sue origini fa parte del fascino.
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Quindi l’operazione alla base della creazione di Riddick è perfetta nella sua semplicità. Impreziosita, se vogliamo, dall’azzecatissima scelta di casting, che ha fissato in in Vin Diesel l’incarnazione definitiva.
Talmente perfetta che, proprio come accade alle leggende, il vocio ha superato la realtà dei fatti, costruendo attorno al personaggio Riddick una fama oscura che, se ci si sforza di analizzare i tre film che lo vedono protagonista, in effetti non ha.
Non credo sia giusto definire Riddick un cattivo, nemmeno un anti-eroe.
Leggendo recensioni al terzo capitolo della trilogia cinematografica, in particolare ho apprezzato la rilettura satirica di Ortolani, e il sottolineare come la presenza del cane (io lo chiamo tigrane) accanto a Riddick possa minare (o smorzare, o entrambe le cose) la credibilità del personaggio, uccidendo la sua fama di duro impenetrabile.
Ecco, la cosa fa ridere, indubbiamente, poi disegnata da Ortolani fa ridere ancora di più, merito del disegnatore che mi sta simpaticissimo, ma personalmente il vedere Riddick che gioca col cane non mi ha stupito più di tanto.
Una delle leggende alle quali accennavo poc’anzi è quella che ha tolto a Riddick qualsiasi umanità o empatia, che lo vuole solitario e incapace di rapportarsi al prossimo.
A pensarci, fin dal primo film, mentre gigioneggia coi coloni scampati al disastro, si capisce bene che Riddick è vittima più della cattiva fama che della propria, reale cattiveria. Cattiveria che non ha, nel modo più assoluto.
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Infatti crea legami sia con la ragazzina che con Carolyn (la pilota dell’astronave), è leale al gruppo, ma non è un fesso, infatti non si fida del mercenario e punta sempre e soprattutto a cavarsela.
Nel secondo film, è sempre la stessa ragazzina, ora cresciuta, che lo spinge a rischiare tutto, facendosi arrestare e portare a Crematoria, pur di raggiungerla, sempre fingendo freddezza, per restare fedele alla propria leggenda oscura.
Nel terzo si prende un cane.
E no, avendo avuto due cani posso dire che non è debolezza.
Il cane è, come Riddick, luogo narrativo. In Io sono Leggenda (di Matheson) serve a mostrare che il protagonista è ancora un essere umano (pur essendo una “leggenda”). Il cane, data la sua particolare natura (una creatura che non fa altro che dispensare affetto), fa riemergere proprio l’empatia perduta.
Quindi allevare un cane, per Riddick, è conferma della propria umanità, lungi dall’essere schivo a terribile.
E mi riferisco solo a personaggio e temi, non tanto al risultato dei tre film che ormai sono precipitati, essendo il terzo una stanca riproposizione del primo capitolo, in un baratro da cui è quasi impossibile uscire.
Riddick è, quindi, più che anti-eroe o cattivo, un sopravvissuto. Cosa che in qualche modo viene confermata nel secondo capitolo, quando oltre alla caratteristica di superstite, gli viene, ahimé, appiccicata anche la qualifica di predestinato, cosa che manda tutto in vacca.
Riddick by Bopchara (DeviantArt)
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Il problema di Riddick è che, proprio per come è stato concepito il personaggio, esso evade da qualsiasi tentativo di costruire attorno a lui una saga, proprio come riesce sempre a evadere dalle prigioni.
Avendo fissato l’iconografia dello stesso in pochi, determinati punti chiave, il pubblico stesso, otlre che gli autori, non possono fare a meno di vederlo impegnato in poche, precise situazioni. Non ad amoreggiare attaccato a un fune con Katee Sackhoff, non a filosofeggiare con una vecchia che dice di essere un elementale (anche perché è un duro colpo alla credibilità dell’ambientazione, vedere ‘sti tizi fluttuanti, abituati come siamo a lame e muscoli), sì a fare il riposo del guerriero, magari insieme a un cane, perché dei cani ci si può fidare, degli uomini no, e soprattuto sì a vederlo evadere da carceri, confrontarsi con mercenari e prigionieri, a nascondersi tra le ombre, su pianeti a orologeria, sui quali si scatena qualche catastrofe.
Non è un caso, infatti, che le sequenze migliori dei tre film siano da individuarsi in quelle in cui Riddick fa Riddick (ovvero agisce secondo i canoni fissati per il personaggio), una specie di Predator senza armatura, che striscia nell’ombra e che ha istinto per riconoscere i punti deboli di nemici soverchianti, per forza e per numero.
Sperando che il volerlo commercializzare a tutti i costi, renderlo buon selvaggio (vedasi il finale del terzo capitolo, a tarallucci e vino), non ci privino di una creazione feconda del nostro immaginario coevo. Creatura sì derivativa, ma forte a sufficienza da reclamare l’indipendenza e un proprio universo narrativo.