Vedevo Anna Piaggi come un’istallazione vivente di stili ancor prima che immensa firma del panorama giornalistico italiano di costume. Ci ha lasciati poche settimane fa senz’avvertire. In maniera semplice quanto elegante, mi piace pensare. Durante la notte, quando la città dorme, ben lontana dal mondo paiettato delle sfilate di moda che la vedeva protagonista indiscussa dei parterre più importanti. Lontana dalle redazione giornalistiche delle riviste che vantavano la sua firma, come Vogue (Note le sue D.P- Doppie Pagine).
"Melius abundare quam deficere”. Mi veniva sempre in mente questa locuzione latina quando la incrociavo ad una sfilata. Perchè la sua stravaganza era unica, indescrivibile ed autentica. I suoi magici cappelli, quelle velette a coprirle il volto sempre truccato. Amavo quell’immancabile tocco di blush rosa che spargeva delicato sulle bianche gote.
La vidi per la prima volta da Missoni, lo scorso anno, in occasione della settimana dedicata alla moda maschile. Riservata, apparentemente impenetrabile quanto appariscente.
Mi feci forza e le chiesi "due battute" sulla collezione che aveva appena visionato. Non volle sbilanciarsi. Piuttosto incominciò a parlarmi della scelta del proprio look d’ispirazione Napoleonica che le aveva suggerito la location della sfilata: La Fonderia Napoleonica Eugenia al civico 21 di Milano, in via Thaon de Revel. Luogo che disse amare particolarmente. Poi si dileguò tra la folla, magicamente. Ed io ancora lì - ancora qui - incantato, colpito, venerante.
Arrivederci Anna.