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Non sono mai stata a Taranto, ma sono nata 40 anni fa a Cornigliano (Genova) e lì ho vissuto per oltre 20 anni, davanti alla mostruosa acciaieria, che ha distrutto per sempre un quartiere che all’inizio del secolo scorso era tra le più rinomate località balneari della Liguria. Ero solo una bambina o un’adolescente poco consapevole, ma ricordo bene le lotte delle donne di Cornigliano per porre un limite al mostro che si mangiava le nostre vite. Ricordo i tanti giorni in cui si respirava una puzza acre e si dovevano tenere chiuse le finestre, ricordo la polvere nera, grigia, rossastra, che si posava ovunque, sulle persiane, sui vetri, sul bucato e i sui nostri polmoni. Per protesta si appendevano le lenzuola bianche alle finestre e in breve tempo diventavano grigie di veleno. Allora non c’era internet e se il benzene aveva sforato i limiti di decine di volte, si veniva a saperlo (mica sempre) dopo mesi e mesi che l’avevamo già respirato… Ricordo i botti delle esplosioni, e le nuvole di fumi che si levavano immense, illuminate dalla luce arancione industriale; mio padre mi spiegava che i fumi peggiori però erano quelli che non si vedevano, che uscivano di notte. Mio padre per un periodo aveva lavorato a quella che allora si chiamava Italsider (oggi Ilva): per sua fortuna lavorava negli uffici, ma qualche volta era entrato nella zona di lavorazione e raccontava che sembrava di essere arrivati all’inferno. Mio padre ogni estate cercava di portarci via per respirare un po’ di aria sana almeno qualche mese all’anno. Andavamo in affitto in un modesto appartamento in campagna in Piemonte e quando arrivava settembre e dovevamo tornare a casa io e mia sorella piangevamo. Mio padre è già stato operato per due tumori, magari il benzene non c’entra, ma chi lo saprà mai?… Coi miei genitori abbiamo dovuto aspettare più di 20 anni per poterci permettere di scappare dall’inquinamento e cambiare casa, per trasferirci in un piccolo appartamento un po’ più lontano da quell’aria avvelenata contro la quale non c’era difesa. Eppure, senza le acciaierie invece saremmo stati ricchi: i miei nonni nel secolo scorso avevano costruito ed erano proprietari di interi palazzi a Cornigliano, in riva al mare. Poi la vista mare si è trasformata in vista altoforno e quei palazzi nel giro di pochi anni non valevano più nulla. Ma quando dico nulla intendo proprio nulla, li abbiamo venduti tutti per poche lire e tolti i debiti e le spese non c’è rimasto niente. Nessuno ha mai ripagato i corniglianesi di tutta quella loro ricchezza persa. Persa, perché qualcun altro si è voluto arricchire sulla nostra pelle. La famiglia Riva si è arricchita, producendo senza volere spendere il necessario per i filtri e la tutela dell’ambiente. Erano pochi spiccioli in confronto ai loro guadagni, ma chi è accecato dalla sete di profitto cerca di ridurre ogni spesa, anche se a scapito della salute della gente. La famiglia Riva si è arricchita, migliaia di operai hanno lavorato, certo, sebbene in condizioni disumane, ma dall’altra parte migliaia di famiglie a Cornigliano hanno perso, oltre che la salute, il valore delle loro case, dei loro negozi, delle loro attività imprenditoriali. Hanno dovuto scappare, chiudere, ammalarsi. I bei negozi della mia infanzia a Cornigliano non esistono più. Ora ci sono solo supermercati latinos, macellai halal e doner kebab… Cornigliano è diventata un ghetto per stranieri, per i vecchi e i più poveri che non possono scappare. Dal 2002 l’altoforno è stato finalmente spento, sono rimaste solo le lavorazioni a freddo, ma il quartiere non si è mai più ripreso. Eppure come era bella Cornigliano prima delle acciaierie! Mio zio mi mostra le foto della spiaggia dove facevano il bagno con quei buffi costumi di settanta anni fa, sullo sfondo il maestoso castello Raggio, proteso in mezzo al mare. Hanno distrutto tutto, spiaggia e castello, in nome del progresso (?) e dell’industria. Lo zio, così come i miei, sono riluttanti a parlarne, sento che dentro di loro c’è ancora un dolore pungente, una rabbia forte per quello di cui sono stati derubati, per quello che è stato consentito, per uno stato che non li ha protetti e salvaguardato i loro interessi. Vi chiedo allora: quei posti di lavoro in acciaieria valevano tanta distruzione? Senza neanche considerare il valore inestimabile della salute e dell’ambiente, se facessimo un bilancio tra la ricchezza guadagnata dalla popolazione (salari dei lavoratori) e quella persa da tutto il quartiere, dove starebbe l’ago della bilancia? Io la mia risposta me la sono già data… E così quando oggi sento che il governo vuole fare ricorso contro il giudice che finalmente a Taranto ha avuto il coraggio di fare quello che altri avrebbero dovuto fare da anni … Ecco, mi sembra che il mondo vada a rovescio, mi pare che siamo tornati indietro di un secolo riguardo alla difesa dei diritti umani e dell’ambiente. Mi prende lo sconforto, mi sento una cittadina tradita e soffro come se a Taranto ci abitassi anche io… Silvia Parodi tre foto di Cornigliano quando c'era la spiaggia e poi l'acciaieria che si è mangiata tutto
Questo post Silvia l'ha scritto sulla sua bacheca fb e i commenti, oltre che alle condivisioni sono arrivati molto rapidamente. Oltre ad autocitarmi, ne riporto alcuni di sicuro interesse:
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