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Quando Richard B. Riddick comparve per la prima volta su uno schermo cinematografico era il 2000, su un pianeta ostile, in un b-movie come non se ne facevano da tempo e con un titolo veramente figo: Pitch Black. Un film che non ti aspettavi di certo alle soglie del ventiduesimo secolo, un action survivor che strizzava l'occhio a Alien(s), Carpenter e a tutta la tradizione dagli '80 ai '90. In Pitch Black Riddick è un antieroe che, precipitato su un pianeta ostile, deve prima vedersela con gli uomini che gli danno la caccia (lui è un assassino super ricercato sulla cui testa pende una taglia) e poi con le spaventose creature che popolano il pianeta stesso. Ora, vi starete chiedendo cosa centri tutto questo con la recensione di Riddick (2013). Ve lo dico subito: le due trame sono perfettamente sovrapponibili. Perché non solo Riddick è il quarto capitolo della saga dedicata all'antieroe proveniente dal pianeta Furya (nel mezzo c'è un film - Le Cronache di Riddick - e un mediometraggio animato - Dark Fury) ma anche un sequel fotocopia di cui nessuno sentiva il bisogno.
Alla fine di Le Cronache di Riddick avevamo lasciato il nostro eroe seduto sul trono dei Necromonger dopo aver ottenuto il titolo di Re suo malgrado e con la forza. All'inizio di Riddick troviamo il nostro eroe visibilmente ingrassato e con una gamba rotta su un pianeta dalla fauna letale. Sarà lì che il furyano dovrà riscoprire il proprio lato animale e fare quel che gli è sempre riuscito più semplice: sopravvivere.
Sequel fotocopia, ho detto. Inutile, per lo più, visto che questo film non sembra altro che l'anello di congiunzione tra i primi capitoli e un futuro quarto episodio cinematografico che non tarderà ad arrivare. Amesso che questo Riddick incassi abbastanza. Ma il vero problema non è l'inutilità del lungometraggio. Il vero problema è che questo lungometraggio è noioso. E che quando non è noioso è ridicolo. A cominciare dalla voce off narrante e dall'inizio in stile Balla coi Lupi per arrivare alle scenette trash/ironiche condite da dialoghi improbabili tra personaggi stereotipati. Ridicolo + noioso = film brutto. Ci potete sbattere la testa quanto volete, la matematica non è un'opinione e il risultato non cambierà.
Il problema è semplice: questo film soffre di tutti i difetti che affliggono i remake hollywoodiani da qualche anno a questa parte: non aggiunge nulla di nuovo. Un film d'intrattenimento deve intrattenere ma se è facile prevedere ogni singola scena e ogni singolo risvolto, questo non succede. E' chiaro che dopo il fiasco di Le Cronache qualcuno deve aver pensato che, tornando alle origini, tutto sarebbe andato per il verso giusto. Ma qui non ci sono neanche grandi scene d'azione (infarcite di CGI e rallenty) o dialoghi degni di nota. La coerenza narrativa è stata dimenticata per strada quindi tutte le colpe ricadono inevitabilmente su David Twohy, regista e sceneggiatore. Fa strano, tra l'altro, pensare che si tratti dello stesso regista dei primi due film che, a conti fatti, non erano certo perfetti ma avevano una loro identità. Identità di cui Riddick non è dotato. Se poi ci aggiungiamo un Vin Diesel decisamente imbolsito che fa il verso a se stesso (e al personaggio che lo ha reso famoso), allora il dado è tratto.
Ma allora, c'è qualcosa che si salva di questo Riddick? Sì, e si chiama Katee Sackhoff. La Sackhoff non è brava ma è tanta roba, l'unica donna in questo film macho (ce n'è un'altra, ma dura troppo poco per considerarla). Certo, se il suo personaggio fosse stato scritto un po' meglio ne avrebbe guadagnato, ma in questo piattume le sue pose plastiche sono l'unica cosa ad avere un senso. Il resto del cast non brilla, si salva solo Jordi Mollà ma poi vedi David Bautista e ti chiedi "perché". E ti viene voglia di alzarti e andare via se non fosse che le tue gambe hanno già capito tutto e si sono addormentate. Fa niente, sarà per la prossima volta. Sperando che Twohy e la Universal (ma anche Diesel nelle vesti di produttore) abbiano capito che i sequel fotocopia non assicurano lo stesso successo dell'originale.
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