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Creato il 26 aprile 2011 da Omar
Almeno due le ragioni che lasciavano ben sperare circa questo oggettino non ben identificato intitolato Primal, una minuta pellicola horror diretta dall'esordiente Josh Reed mostrata al mercato di Cannes nel 2010. La prima è che è girato al Moore Park di Sidney, e dall'Australia, statistiche alla mano, arrivano generalmente deliziosi gifts per gli appassionati del Grande Schermo. La seconda è che il regista - attivo perlopiù in televisione - non è l'oscuro Carneade che sembrava essere a primo acchito: risulta infatti figlio di Colin Eggleston, l'uomo dietro alla macchina da presa di quel gioiellino sottovalutato che fu Long Weekend (1978), praticamente la punta di diamante del filone eco-vengeance (assai smunto invece il recente remake di cui scrivemmo qui). Ma il talento non è necessariamente un dato genetico ereditario e persino dalla terra dei koala e dei dugonghi di tanto in tanto giunge spedita qualche patacca: Primal è infatti (purtroppo) una sconcia tamarrata che cerca senza nerbo di fondere atmosfere un po' alla survivors (il modello, per intenderci, è l'arcinoto The Descent, ma nella costrizione geografica dei giovani protagonisti torna a mente anche il minore Ruins) con gli echi del misticismo aborigeno di buona parte della produzione artistica di quelle terre: birra e wilderness, insomma, se non fosse che gli attori sono dei veri cani, la storia è stravista e gli effettacci splatter paiono davvero realizzati col Commodore 64. Tutto ha inizio nella folta steppa crudele dove una specie di spiritello prende possesso di ogni cosa che respira e lo trasforma in una creatura zannuta e primitiva, perennemente affamata e capace di inspiegabili prodigi atletici. I malcapitati sono cinque amici che raggiungono un loro compagno studente in antropologia che si trova lì a studiare pitture rupestri in una caverna, in cima a una montagna. Quando la bonona del gruppo (stavolta neanche troppo carina, a dirla tutta) decide di farsi un bagnetto nuda in uno stagno limaccioso, il virus la aggredisce e, nel giro d'una notte, anche a lei toccherà la sorte di diventare una specie di diavolo berciante dai denti a sciabola. E questo è quanto: da lì in poi una sequela di baruffe e ammazzamenti ringhianti, conditi da rumori fumettosi che poco o nulla aggiungono alla dozzinale messa in scena.Fotografata in maniera originale (questo sì: le immagini sono spesso saturate di un artificioso quando intrigante arancione) l'operetta insegue senza mai acciuffarlo il giusto equilibrio tra tensione e ritmo scanzonato, riuscendo invece a dimostrare - e in maniera inoppugnabile! - quanto il buon Reed debba aver consumato l'adolescenza a giocare con le Barbie invece che prendere lezioni di regia dal dotato genitore: abusa infatti in maniera assai dilettantistica dell'effetto «mosso» della mdp, facendola traballare peggio che in Battle for LA.
 Veloce e indolore, ci sono decisamente modi migliori di passare il proprio tempo.

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