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Riflessioni su “Good Bye Lenin!” e “Lourdes”

Creato il 11 marzo 2014 da Taxi Drivers @TaxiDriversRoma

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Good Bye Lenin! (Wolfgang Becker, 2003) e Lourdes (Jessica Hausner, 2009).

Due capolavori del cinema europeo degli anni ’00.

Affini per le tematiche proposte (l’individualismo, il collasso della “società” intesa come comunità solidale e unitaria).

E affini per i tracciati semiotici percorsi; un film prende spunto dall’ideologia sovietico-comunista, l’altro dal culto cristiano e cattolico quali pretesti e topoi simbolici “caldi” per parlare di qualcosa di ben più attuale e culturalmente meno circoscritto: l’esperienza, il valore e il senso dell’appartenenza alla “comunità” e la loro catastrofica agonia ai tempi nostri…

In particolare, il primo dei due film porta avanti un discorso tipicamente “ironico” (e dunque ricco di sottili ma taglienti antinomie) sul linguaggio dell’ideologia, sui costrutti di “senso” (e sugli attuali e ineludibili corto-circuiti logici) delle grandi narrazioni collettive. Lourdes si focalizza più direttamente sulla questione della solidarietà sociale.

Il cuore simbolico del lungometraggio di Becker è dato dallo sradicamento delle radici comunitarie soggettive (che siano radici familiari o ideologico-culturali, le lacerazioni conseguenti si fanno sentire comunque e sono di fatto assimilate nella sceneggiatura del film), dalla perdita del senso profondo del condividere simboli, affetti e “origini” all’interno della propria comunità di riferimento, dalla perdita di senso di ogni grande narrazione (che oramai non può che suonare come una menzogna, come quella “retrò” e “comunista” che il protagonista propina alla madre moribonda e cardiopatica, per mantenerla in vita): tutti temi piuttosto attuali ai tempi della globalizzazione delle culture (e dei mercati), dei grandi spostamenti migratori, degli individualismi e delle competitività più brutali…E’ un film di un pessimismo furibondo, duro, beffardo eppure tenerissimo.

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Mentre Lourdes pare un’opera di una crudezza estrema.

Al centro di questo secondo lungometraggio ci sono il tema dell’invalidità e, più in generale, quello del vuoto che ha lasciato la cultura millenaria del cristianesimo (e, in primis, il suo messaggio di solidarietà sociale) nell’Occidente che ci è coevo, così pervaso dai paradigmi dell’individualismo e dell’edonismo.

E’ un film “schizoide”, intimamente laico e decisamente grottesco nella resa delle vicissitudini esistenziali dei personaggi dei vari pellegrini: il suo punto di vista sulla condizione dell’invalidità, della malattia, dell’emarginazione (e sul dolore) arriva quasi a condividere la stessa crudeltà, lo stesso cinismo di quella cultura scaltra, edonistica ed egoistica che il film tematizza e di cui però rileva lucidamente tutti i limiti e le lacerazioni “rimosse”, in relazione alla problematica della mancanza di solidarietà sociale. E l’opera diventa così una bomba di detonazione di contraddizioni socio-culturali latenti, e dunque di “conflitti” che il testo filmico e la sua weltanschauung si premurano di ospitare al loro interno, tra il polso asettico del chirurgo e la carne sensibile del paziente.

Francesco Di Benedetto


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