Abbiamo chiesto al compagno dei Giovani Comunisti di Torino Matteo Peo di farci un resoconto sulla situazione francese, e darcene una sua lettura. Matteo vive a Parigi e ha potuto seguire da vicino il pre e il post voto, partecipando attivamente alla campagna elettorale del PCF.
Iniziamo dai lati positivi: Mélenchon è il primo candidato sostenuto dal PCF ad avere superato la soglia del 10% dai tempi di Marchais. Correva l’anno 1981. Anche allora i socialisti si preparavano ad entrare all’Eliseo con quello che è stato, sino ad ora, l’unico Presidente socialista della Quinta Repubblica: François Mitterand. Altro grande successo dei compagni d’Oltralpe è stato gestire una campagna elettorale molto schietta, mediaticamente giocata bene (riconosciuta anche da Le Figaro e altri quotidiani mainstream francesi) su temi decisamente radicali come la lotta alle politiche di austerità, l’aumento della tassazione per i più abbienti e la revisione del Trattato di Lisbona e del Fiscal Compact. Una campagna elettorale spesa con continui riferimenti alla storia del paese: una seconda presa della Bastiglia, il richiamo ad un’altra rivoluzione francese (la révolution citoyenne), la richiesta di una sesta repubblica. Una riscoperta del lato più rivoluzionario e sociale del patriottismo francese, da anni occupo dalla xenofobia del Front National. C’è molto da imparare: per quanto riguarda il programma, per quanto riguarda la comunicazione ed anche per i rapporti con il PS (almeno sino a questo punto della campagna elettorale). Mélenchon ancora la sera di Domenica infatti invitava a votare contro Sarkozy, ma senza mai dire esplicitamente il nome del candidato del PS. Una scelta comunicativa che sa molto di politica, in attesa del test più importante per il FdG: le elezioni legislative del prossimo Giugno.
Ci sono però molti lati grigi o anche negativi che i compagni italiani sembrano ignorare. In primo luogo: il risultato di Mélenchon non indica uno spostamento “a sinistra” (escludendo il PS da questo campo) della società francese. L’attuale score della sinistra radicale nel suo complesso è in linea a quello del 1995 e del 2002 e rappresenta un’avanzata di poco meno di 4 punti rispetto al 2007 (poco più se aggiungete i verdi). Il successo del candidato del FdG è stato quello di riunire intorno a sé gli elettori della sinistra radicale, svuotando tutti i concorrenti a sinistra. L’avanzata rispetto al 2007 ha due spiegazioni. In primo luogo si è affievolito il ricordo del drammatico 2002, quando Jospin fu superato da Jean-Marie Le Pen e questo ha aperto le porte ad un possibile travaso dal PS verso il FdG. In secondo luogo, ci si dimentica spesso che Mélenchon stesso è uno scissionista del PS. Il suo Parti de Gauche non esisteva nel 2007. Vi è quindi stato un aumento dell’arco politico esterno ed a sinistra dei socialisti francesi e questo ha ulteriormente consentito l’aumento della base elettorale. Certo, l’esperienza della Sinistra Arcobaleno ci insegna che non basta allargare lo spettro che si occupa (ed il ceto politico che si aggrega) per aumentare i propri elettori. Bravo a Mélenchon che è riuscito a coadiuvare le due cose con successo. Questo non toglie però valore a quanto detto prima e serve a mettere nella giusta prospettiva il risultato: non un’eclatante “NO” alle politiche dell’UE, al liberismo, allo strapotere della banche, ma un (si spera definitivo) importante cambiamento dei rapporti di forza interni alla stessa sinistra radicale francese. E’ chiaro che la Federazione della Sinistra deve riflettere su questo: se non si vince nel proprio campo, non si può vincere nel proprio paese. Mélenchon ha annichilito gli avversari a sinistra, ma non ha raggiunto il secondo punto sotto nessun aspetto.
Il lato più negativo del risultato francese è ovviamente quello di Marine Le Pen e del Front National. Non si può fingere di dimenticare che l’obbiettivo dichiarato di Mélenchon (sentito live con queste stesse orecchie ancora il giovedì prima delle elezioni, al comizio finale a Porte de Versailles) era quello di superare Le Pen e diventare la terza forza politica del paese. I compagni francesi non ce l’hanno fatta e sono finiti anzi molto lontani dal Front National che ha totalizzato il suo miglior risultato di sempre (il secondo se si vuole essere particolarmente pignoli e sommare ai voti di Le Pen nel 2002 quelli dello scissionista Bruno Mégret). Quasi 7 punti di distacco, pari a 2 milioni e mezzo di voti. La leader del Front National è la prima vincitrice di queste elezioni e questo non può passare in secondo piano nell’analisi. Il FN era sottostimato nei sondaggi e dopo il 2007 dato in per spacciato ed in declino. Ha guadagnato più di 7 punti in 5 anni e senza ampliamenti di campo. Il voto di protesta contro l’austerità e le politiche di Sarkozy è andato a lei, Marine Le Pen. Si è rifugiato in un partito che ha cambiato programma economico ogni lustro, scoprendosi di volta in volta liberista o sociale a convenienza. Su questo dato bisogna riflettere apertamente: il FN ha un aumento che è quasi doppio rispetto a tutta la sinistra radicale. Sinché non riusciremo ad intercettare questo flusso di protesta, in Francia come in Italia e in tutta Europa, non potremo pensare di rivoltare i rapporti di forza. A maggior ragione quando leggo messaggi come “Dalla Francia possiamo trarre un'importante considerazione: l'unico modo per fermare il fascismo è la lotta di classe, è la sinistra che fa la sinistra!”, come proclamato sulla pagina Facebook ufficiale dei Giovani Comunisti. A livello letterale è una considerazione talmente vaga che tutti possiamo essere d’accordo. Altrimenti non avremmo la tessera del PRC in tasca. Riferita al caso francese sembra però quasi ridicola: gli studi usciti negli scorsi giorni danno il Front National al 30% tra gli operai. Marine Le Pen la candidata più votata. Nonna Mayer, ricercatrice e studiosa della destra francese, si è anche spinta a ipotizzare un 35% del voto operaio verso Le Pen. Contro il 12% di Mélenchon. Io ho dubbi sulla reale entità di questi numeri, mi paiono gonfiati un po’ troppo verso l’alto. Che sia 30 a 12 o 25 a 17 però un dato è chiaro: la classe operaia francese continua a preferire l’estrema destra, nella sua versione più velleitaria (un partito familiare, privo di un programma politico stabile, retto da una persona che abita in un castello e viene a disquisire di disoccupazione), alla sinistra radicale e anche alla stessa sinistra riformista. Succede in larghe parti d’Italia (sicuramente in Veneto ed in Lombardia) e d’Europa (a meno di non credere che in Ungheria siano tutti piccolo borghesi che votano al 70% a destra). Verrebbe da dire che, una volta di più, la lotta di classe la stanno vincendo gli altri.
In conclusione il risultato di Mélenchon non mi pare la grande avanzata descritta da molti, tra cui il nostro segretario nazionale Paolo Ferrero. I compagni del Front de Gauche hanno ottenuto una vittoria all’interno della sinistra stessa, ma hanno perso il confronto con Le Pen e con gli attuali rapporti di forza con il PS il rischio di svendere questo 11% di voti per la rèvolution citoyenne è molto forte. Il vero appuntamento per vedere la forza del Front de Gauche, per capire se può essere qualcosa al di là di un comitato elettorale per le ambizioni di una persona sola, passa dalle legislative di Giugno. Il banco di prova finale.