Magazine Cultura
Poi, questa mattina, ho letto un interessante articolo di Luca Celada su Losangelista e ho cambiato idea sulla signora Athena Hohenberg. Sarà anche una rompiscatole, però ha ragione. Ecco cosa dice l'articolo di Celada:
"(...) La società, che in materia di disinformazione pubblicitaria è recidiva, dovrà modificare le etichette sulle confezioni vendute in America per riflettere più chiaramente che l’alimento in questione contiene zuccheri e grassi saturi in quantità tipiche dei dolciumi e risarcire ogni consumatore che l’abbia acquistata negli ultimi quattro anni e che ne faccia richiesta. Al solito la notizia ha suscitato numerosi commenti sul vittimismo di chi farebbe meglio ad usare il buonsenso invece di correre a piangere in tribunale per qualsiasi inezia. A noi però sembra che fondamentalmente la storia riproponga la questione della protezione dei consumatori al tempo dell’alimentazione industriale. La Ferrero e la sua crema avranno pure origini radicate in tradizioni più artigianali di molti cibi di massa, ma stiamo pur sempre parlando di una multinazionale agroalimentare con un fatturato di 6 miliardi di euro, 20000 dipendenti e un’impronta globale di dolciumi mirati ai bambini in un momento di obesità endemica ed esplosione di patologie legate all’alimentazione squilibrata. Una posizione che nel mondo competitivo dell’alimentazione di massa si raggiunge e si mantiene solo con una massiccia operazione di marketing come la Ferrero fa dai tempi di Carosello; ancora più della qualità della cioccolata il genio dell’azienda è stato l’imprinting a tappeto di generazioni di consumatori mediante 'narrative' sui loro dolci, fra cui quella di come siano 'sani e genuini'. Ora l’opposto della pubblicità è l’informazione, ad esempio sugli ingredienti e sulle qualità nutritive dei prodotti venduti, e non a caso le lobby del settore sostengono costanti campagne contro norme di trasparenza in materia. Più singolare è invece l’attitudine della nostra stampa, che in questioni di Nutella sembra interpretare il proprio ruolo come difensore dell’onore della multinazionale italiana dagli attacchi del subdolo straniero. Sia Repubblica che il Corriere riportando la notizia hanno lasciato l’ultima parola alla società, trascrivendo ampi stralci del comunicato della Ferrero; Repubblica gli dedica 2 di 4 paragrafi del proprio articolo e conclude con lo slogan integrale della società: “L’utilizzo di Nutella a prima colazione con pane, latte e frutta nelle quantità suggerite – conclude la Ferrero – rimane un utilizzo raccomandato da numerosi studi scientifici di alta rilevanza internazionale nel quadro di una dieta equilibrata e gustosa, che come dice la pubblicità, fa più buona la vita”. Ah beh, se lo dice pure la pubblicità… appunto. Anche dal Corriere ampio risalto al comunicato aziendale in cui si legge tra l’altro che «L’accordo transattivo raggiunto da Ferrero negli Stati Uniti è relativo al solo contenzioso nato dalla pubblicità trasmessa negli Stati Uniti e alla conformità di quest’ultima alle esigenze della legislazione americana. Non vi è nessun tipo di necessità di correggere da parte dell’azienda i suoi comportamenti commerciali e pubblicitari negli altri paesi ». Meno male, così non ci dobbiamo metterci a leggere tutte quelle parole noiose scritte piccole piccole sull’etichetta come quegli sfigati californiani. Tiè! (...) Quadrato insomma attorno alla crema nazionale, e al nostro diritto di non sapere cosa ci mangiamo. Un autolesionismo efferato, che ricorda quello degli elettori repubblicani che marciano per il diritto a non essere curati perché la previdenza sanitaria è un concetto socialista. E così i consumatori italiani e europei per il momento sono salvi dalle informazioni sugli ingredienti che mangiano. In realtà sull’etichettatura non è che si brilli né da una parte né dall’altra dell’Atlantico. Le multinazionali combattono la trasparenza con medesimo vigore in Europa e USA dove ad esempio le etichette non riportano la presenza di ingredienti OGM, (...) ma non ci sembra una buona ragione perché anche i giornali si debbano schierare per il diritto all’ignoranza a difesa dei produttori. Come dimenticare il putiferio sollevato un paio di anni fa quando la UE tentò di applicare le norme sui valori nutrizionali scatenando l’allarme di ansimanti titolatori: “La Ue dichiara guerra al mito Nutella”, “Allarme: Nutella a Rischio”. (...) Accanto alla tutela del made in Italy (...) l’argomento che spunta regolarmente in questi casi è quello del buonsenso per cui 'veramente abbiamo bisogno di uno stato-balia che ci spieghi che lo zucchero fa ingrassare?' La mamma californiana che ha denunciato la Ferrero perché i suoi spot l’avevano convinta a cibare ogni mattina la propria bimba di zucchero e olio di palma anziché cereali e frutta sarà anche ingenua, ma il fatto che abbia prodotto delle etichette più oneste francamente non dispiace. Va bene imprinting e patriottismo, ma davvero vogliamo batterci per il diritto delle corporation a raccontarci le frottole?"
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