Riforma dei partiti

Creato il 15 maggio 2012 da Yleniacitino @yleniacitino

da ragionpolitica.it

Giustamente, Napolitano riconosce la sempre meno latente crisi dei partiti. E alla cerimonia sui David di Donatello ha sciorinato la sua personale ricetta: «recuperare la fiducia in noi stessi e negli altri». I toni istituzionali non mancano, quando chiarisce che la politica è in affanno non solo da noi, ma in tutta Europa. Eppure, sa bene che il recupero della fiducia è sempre più difficile in momenti come questi, in cui si scopre che i soldi della Lega, ergo dello Stato, sono serviti ad acquistare diamanti e lauree in esotiche università albanesi. Oppure quando alla richiesta di arresto dell’ex tesoriere della Margherita, l’on. Lusi, c’è chi si duole dell’abnormità giuridica del provvedimento. Ecco perché i demagoghi e i qualunquisti sono sempre più à la page.

La gente ha bisogno di sfogarsi con urla indignate in piazza. Vuole imbracciare i forconi e mettere le lance in resta per attuare una personale e satisfattiva autogiustizia. Ma a cosa può condurre un simile atteggiamento se non ad una pericolosa anarchia? Il vero problema è un altro. I partiti devono riformarsi. Ne sono consapevoli, altrimenti non avrebbero presentato 53 (proprio così) proposte di legge da inizio legislatura ad oggi, variamente intitolate alla disciplina delle elezioni primarie, al finanziamento privato, ai rimborsi elettorali, alle fondazioni politiche o più genericamente, all’attuazione dell’articolo 49 della Costituzione. Eccolo, dunque, il vero scoglio da superare. Un articolo, semplice ed immediato nella sua dizione, che da sessant’anni giace lì, dimenticato da tutti, nella svilente attesa che qualcuno gli punti l’indice sopra e suggerisca una normativa bianca in grado di non scatenare gli altolà dei vari partiti. La materia, infatti, è così irta di ostacoli che fino ad oggi ha impedito il formarsi di una scuola maggioritaria che la volesse cotta piuttosto che cruda. E così, nel dubbio, non si è mosso un filo di vento. Certo, a vedere tutte quelle proposte, ripeto 53, sembrerebbe che ci sia stato un tornado. Ma, ad usare la lente d’ingrandimento, si scopre che la maggior parte delle stesse non è ancora nemmeno stata assegnata all’esame in commissione. Nonostante i quattro turbolenti anni di legislatura. Come a dire, ogni movimento politico ha fatto il suo compitino per casa, depositando la sua proposta, per quanto folle che essa sia, ma non si è impegnato per la sua metamorfosi in legge.

La Camera si era persino presa la bega di redigere un dossier di approfondimento sulle prime proposte, per le quali si era ventilata la possibilità di un accorpamento. Ma se le discussioni in aula non superano il numero delle dita di una mano, non stupisce che quelle in commissione siano state così stringate da impedire la presa di qualsiasi provvedimento decisivo. Eccolo, dunque, il cimitero dei partiti. C’è chi propone il riconoscimento giuridico dei partiti. Chi, come Sposetti, ha vissuto brevi attimi di gloria per aver suggerito l’introduzione di un meccanismo di finanziamento per le fondazioni politiche. Chi, forse per reazione agli scandali interni, avanza la scure dell’abolizione del finanziamento e chi, infine, redige frettolosamente la cd. proposta ABC senza superare le perplessità tecniche. A tutto c’è un limite e l’ha capito anche Monti, che ha preso la palla al balzo e ha nominato, con una consulenza un cosidetto «tecnico”, Giuliano Amato, col mandato di fornire analisi e orientamenti sulla disciplina dei partiti per l’attuazione dell’articolo 49, sul loro finanziamento, oltreché sui sindacati. L’importante, però, è che Monti abbandoni l’esclusiva. Perché una materia di questo tipo deve necessariamente vedere la partecipazione dei diretti interessati, coloro che, con metodo democratico, sono chiamati dalla Costituzione a concorrere alla politica nazionale.


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