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Riforma del senato di renzi, tra appelli e costituzione

Creato il 03 aprile 2014 da Postpopuli @PostPopuli

 

di Matteo Boldrini

Negli ultimi giorni al centro del dibattito politico vi è stata la lunga polemica su una possibile riforma del Senato che superi lo stato di cose attuali. Le levate di scudi contro la proposta di Matteo Renzi sono state numerose e hanno coinvolto diversi esponenti della politica e della cultura tra cui, solo per citarne alcuni, il Presidente del Senato, Pietro Grasso e Gustavo Zagrebelsky.

Si è arrivati addirittura alla pubblicazione di un appello, ovviamente sul Fatto Quotidiano, da parte di illustri giuristi che invitano a bloccare la riforma, in quanto incompatibile con la nostra Costituzione originaria, dato il rischio di derive autoritarie.

Tuttavia Renzi sembra non piegarsi di fronte a questa opposizione, e con la solita energia che lo caratterizza, sembra voler tirate dritto per la sua strada, arrivando addirittura a giurare di abbandonare il progetto, nel caso non riuscisse a portare a compimento la riforma. Sebbene l’appello provenga da giuristi di fama, rinomati sul piano nazionale e internazionale, esso sembra suscitare un eccessivo allarmismo, e in buona sostanza appare immotivato.

 

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europaquotidiano.it

L’appello sembra ancora più strumentale se si osserva che a farlo sono state per la maggior parte le stesse persone che hanno promosso a dicembre l’appello contro la riforma della legge elettorale, in quanto anch’essa portatrice di svolte autoritarie. Si tratta quindi di un’iniziativa strettamente politica e, senza lasciarci ingannare dagli innumerevoli titoli che possono vantare i promotori dell’iniziativa nel campo del diritto, lo possiamo capire dall’esplicito richiamo alla sentenza della corte costituzionale, che ha dichiarato incostituzionale la legge Calderoli, sentenza che, anch’essa, di giuridico ha ben poco.

Il Senato Italiano è senza dubbio un’istituzione importante, che può vantare una storia illustre all’interno del panorama politico italiano; non per questo è esente da difetti. Esso presenta un doppio rapporto di fiducia verso il governo, che limita la governabilità, in quanto vincola l’esecutivo ad ottenere la fiducia da due diverse camere che, potenzialmente, potrebbero esprimere due maggioranze politiche diverse. Inoltre il sistema di bicameralismo perfetto, che obbliga entrambe le camere ad approvare ogni testo di legge, rallenta notevolmente la produzione legislativa.

Questi difetti non sono certo cosa nuova, ma provengono direttamente dalla Costituente, che aveva pensato il Senato per un’epoca totalmente diversa rispetto alla nostra, un’epoca in cui la minaccia di grandi sconvolgimenti politici rendeva utile una “camera di raffreddamento” che rallentasse il processo legislativo rendendolo più ponderato, e che poteva ampliare la base di consenso necessaria al governo. I padri costituenti avevano in realtà previsto una durata differenziata dei mandati delle due camere, 6 anni contro i 5 della Camera dei Deputati, ma ben presto il sistema venne modificato perché poco efficace. Per dare un senso ad una seconda camera identica alla prima, e anche in base ad accordo tra comunisti, contrari alle regioni, e democristiani, favorevoli, il Senato fu immaginato come Camera delle Autonomie, senza che fosse però elaborata una vera normativa in questo senso.

Inoltre furono previste disposizioni che intendevano trasformare il Senato in una sorta di camera “anziana”, o dei “saggi”, come dimostrano la differenza di età dell’elettorato attivo e passivo e la presenza di un piccolo numero di senatori non eletti, i senatori a vita. Sostanzialmente quindi, esso non è altro che una camera fotocopia della prima, con praticamente la stessa base elettorale.

La proposta di Renzi, che prevede un Senato non elettivo, formato da presidenti di regione e altri eletti negli enti locali, priva della possibilità di esprimere un voto di fiducia verso il governo, ma ancora con competenze normative per quel che riguarda le riforme costituzionali e gli enti locali, verrebbe a risolvere tutti i problemi che abbiamo sopra elencato e porterebbe a riconsiderare tutto il rapporto stato-autonomie locali, affidato adesso a un paio di conferenze di vario tipo. Tuttavia la strada non è completamente agevole per Renzi. Il Presidente del Consiglio, infatti, forte del suo carattere decisionista e orientato all’azione, continua a insistere sul costo zero del nuovo Senato. Se tale strategia consente di superare il solito impasse in cui ricade la sinistra ogni volta che si viene a parlare di riforme costituzionali e permette di mettere all’angolo il partito di Beppe Grillo (bloccato su posizioni ancora non chiare), contendendo al leader petastellato l’elettorato, Renzi rischia di esporsi anche a pressioni politiche e mediatiche che potrebbero arrivargli dalla sinistra affezionata al vecchio ordine costituzionale. E a forza di dire che sui temi ci si gioca la carriera, finisce che ci se la gioca per davvero.

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