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Riforma dell’Ordine dei Giornalisti

Da Mela Verde News
Riforma dell’Ordine dei Giornalisti
I giornalisti non possono essere fuori dalla stagione delle riforme: parte da questo presupposto Carlo Verna, in un intervento su Articolo 21, presentando una nuova proposta per la Riforma dell’Ordine articolata nei seguenti punti- L’ idea di un Ordine dei giornalisti abilitati alla professione, prima di tutto;
- La possibilità per gli attuali pubblicisti di passare all’elenco degli abilitati dopo un corso e un esame;
- La possibilità per i pubblicisti che non vogliono sostenere l’ esame o che non dovessero superarlo di restare nell’elenco dei pubblicisti (nel ad esaurimento o permanente);
- L’ ipotesi di istituire la figura del collaboratore occasionale (ma senza alcun diritto ad iscriversi all’ albo, in mancanza del percorso formativo che caratterizza l’ ammissione dei giornalisti abilitati).
Pino Rea di ‘’Liberiamo l’ informazione’’ – l’ area del Consiglio nazionale di opposizione alla gestione dell’ Ordine di Enzo Iacopino&co – accoglie positivamente la dicendosi disponibile e pronto al confronto con tutte le posizioni in campo, nessuna esclusa, e in qualsiasi sede. Punto in comune è sicuramente il riconoscimento della piena dignità, anche sul piano formale, a tutti i giornalisti che fanno (o vogliono fare) davvero questo mestiere. Ad ogni modo, nonostante la disponibilità al confronto, il parere di Rea sembra essere a tratti discordante con la proposta di Verna: «La proposta di Verna si discosta dalla nostra, a questo punto, solo per l’ ipotesi di un mantenimento di due elenchi nell’ ambito dell’ Albo degli abilitati: quello dei professionisti (professionali?) e quello dei collaboratori (o pubblicisti). Gli abilitati potrebbero scegliere in quale elenco iscriversi e potrebbero cambiare elenco in ogni momento.  La scelta nasce, mi sembra di capire, da due ordini di motivi. Il primo di carattere economico-retributivo: il professionista è legato al principio dell’esclusività e deve rinunciare a fare altri lavori, laddove un mercato asfittico non gli consente poi di vivere dignitosamente, spiega Verna. Il secondo motivo è di carattere, diciamo, più ideologico-politico:  entrambi gli elenchi verrebbero alimentati in futuro e non ci sarebbe l’ elenco ad esaurimento (dei pubblicisti) che suscitò  la contrarietà del Consiglio e di parte della categoria nei confronti della proposta di ‘’Liberiamo l’ informazione».
Stando alle dichiarazioni di Rea, nel primo caso si potrebbe risolvere il problema sostituendo il principio dell’ esclusività (che aveva solide ragioni in una situazione di mercato totalmente diversa e irripetibile) con quello della prevalenza. «Principio che fra l’altro il consiglio nazionale ha già accettato in relazione alle norme sul cosiddetto ricongiungimento (in Francia ad esempio la carte de presse viene concessa sulla base della prevalenza dei redditi da giornalismo sulle entrate complessive di un giornalista).  Una misura che farebbe cadere uno dei motivi per la conservazione della distinzione professionista/pubblicista».
Per quanto riguarda il secondo fascio di motivazioni, la proposta di ‘’Liberiamo l’informazione’’ nasce da un’ analisi dei processi in atto. Il numero dei pubblicisti cresce in maniera costante. Ma al loro interno sono sempre di più i giovani giornalisti precari e indifesi, ingabbiati nel recinto di uno status – il pubblicismo – che consente agli editori di utilizzarli come forza lavoro a costi bassissimi. Chiuse le porte delle redazioni, il pubblicismo è ormai diventato un canale di accesso alla professione: ma è un accesso a condizioni sempre più umilianti, sia sul piano dei redditi che su quello dei diritti e della identità professionale».
Il primo obbiettivo che si pone “Liberiamo l’ informazione” è cercare di invertire questo processo, assicurando il pieno riconoscimento della dignità professionale a tutti quei giornalisti che fanno veramente questo mestiere, professionisti o pubblicisti che siano – parallelamente all’ impegno sull’ equo compenso e all’ attività del sindacato (e di Inpgi e Casagit) – .  Obbiettivo che può essere raggiunto solo con una riforma radicale che cancelli le tante storture che caratterizzano l’ Ordine attuale e che si ripercuotono sulle condizioni di vita di tanti giornalisti.«Conservare lo status quo servirebbe insomma solo agli editori e ai signori delle tessere, quelli che dominano attualmente un Ordine in cui, paradossalmente, i 25.000 pubblicisti attivi che cercano di vivere di giornalismo e che reggono sulle proprie spalle una parte rilevante della macchina dell’ informazione rischiano di non avere una loro corretta rappresentanza, visto che attualmente essa è quasi interamente monopolizzata da consiglieri pubblicisti che di mestiere hanno sempre fatto solo i consiglieri pubblicisti che di mestiere hanno sempre fatto solo i consiglieri dell’ Ordine» puntualizza Pino Rea.
La strada più utile e logica è il superamento della distinzione fra professionisti e pubblicisti e l’ approdo a un unico elenco di ‘’giornalisti’’tutti uguali perché formati per fare giornalismo in maniera professionale e quindi in possesso di tutte le competenze che una informazione libera e qualificata, che onori il proprio mandato nei confronti dei lettori, e  la sfida delle innovazioni richiedono.
“Liberiamo l’ informazione” afferma che la maggior parte dei 25.000 pubblicisti attivi nella professione sarebbero contenti di passare in un nuovo Ordine professionale, che li inserisca in un unico elenco, quello dei “giornalisti-e-basta”.  «Un Ordine che, non facendo più distinzioni arcaiche, potrebbe anche contribuire ad evitare che il reddito medio dei giornalisti subordinati (in prevalenza professionisti) possa essere  5 volte superiore a quello del lavoro autonomo (in prevalenza pubblicisti) e addirittura 7 volte maggiore di quello dei Cococo, come avviene ora. Gli attuali pubblicisti che volessero invece conservare il proprio status lo potrebbero fare, restando nel vecchio elenco, e con una rappresentanza adeguata in consiglio nazionale. Ma intanto il futuro potrebbe cominciare, subito. Con un nuovo» conclude Pino Rea nel suo intervento.

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