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Riforma della Giustizia. I punti forti e i punti deboli

Creato il 11 marzo 2011 da Iljester

Riforma della Giustizia. I punti forti e i punti deboliIn generale non posso non ritenermi soddisfatto del progetto di riforma costituzionale presentato dal Governo. Al di là di tutto, si tratta proprio di una riforma «epocale», perché metterebbe la parola fine a un assurdo scontro tra magistratura – potere giudiziario – e politica – potere legislativo ed esecutivo. E benché i magistrati attribuiscano questo scontro alla politica, come sempre capita la verità sta nel mezzo, e personalmente ritengo penda più a favore della politica per tutta una questione di ragioni che spesso ho qui evidenziato e che ancora una volta evidenzierò, seppure in forma estremamente sintetica.
La prima ormai la sapete a memoria: i magistrati non sono eletti dal popolo. Non sono rappresentanti del popolo, e il loro mandato non è popolare, come invece è quello dei politici. Sono funzionari dello Stato. Accedono alla carica tramite un concorso pubblico, e come tali non rendono conto a nessuno della loro opera. Non solo, rispetto alla restante truppa dei funzionari statali – badate!!! – non sono soggetti all’art. 28 della Costituzione. In parole povere: non sono direttamente responsabili degli atti compiuti in violazione dei diritti. Per loro, paga lo Stato. Paradossalmente, se un Pubblico Ministero o un Giudice sbaglia e vi mette in carcere ingiustamente, voi non potete citare in giudizio il Pubblico Ministero o il Giudice, ma dovete citare lo Stato, e dunque se vi viene riconosciuta la ingiusta detenzione, a pagare sarete sempre voi, tramite le tasse.
La seconda ragione è determinata dalla confusione in un unico ordine giudiziario del giudice terzo e dell’accusa. Se la difesa è espressa da una parte privata – l’avvocato – che interviene nel processo per l’assistenza tecnica dell’imputato; l’accusa è una parte pubblica che appartiene all’ordine giudiziario e che si confonde con il giudice, visto che non esiste una sostanziale differenza tra questi e il pubblico ministero, se non per le rispettive funzioni. Vedete, non è difficile (e anzi, spesso è normale) che un pubblico ministero cambi casacca e diventi giudice, e benché è assai più raro, può capitare anche il contrario: che sia il giudice a diventare pubblico ministero. In altre parole, con il regime costituzionale attuale, viene di fatto annullato nella pratica il principio costituzionale sancito all’art. 111 Cost., che garantisce la terzietà del giudice e la sostanziale (e non solo formale) parità tra accusa e difesa.
Le due ragioni anzidette naturalmente sono le più evidenti, ma ve ne sono delle altre più tecniche, che coinvolgono ancor di più il diritto del cittadino ad avere una giustizia equa, efficiente e rispettosa della collettività e dei diritti del singolo individuo, il quale non può affrontare un processo con lo stato d’animo di un condannato a morte (cosa che oggi avviene) o con la prospettiva di subire un processo per anni.
D’altro canto, sorrido quando sento le parole dell’opposizione e dei magistrati, i quali accusano che questa riforma comporti un’attentato contro l’indipendenza dei giudici e dei PM, arrivando addirittura a sostenere che non garantisce i cittadini, essendo solo punitiva per il pubblico ministero, il quale rischierebbe di venire assoggettato all’esecutivo. Ovviamente polemiche strumentali e corporative: finalizzate cioè a difendere lo status quo fatto di privilegi, irresponsabilità e inefficienza. Una pura mistificazione giuridico-politica che mi lascia basito e contrariato.
Prendiamo per esempio la separazione delle carriere. Come esponevo poco prima, è fondamentale che le carriere dei magistrati siano divise. È irragionevole che accusa e giudice terzo appartengano al medesimo ordine e siano praticamente interscambiabili. Chi sceglie di fare l’avvocato dell’accusa (il PM), tale deve rimanere per tutta la vita; e se vuole cambiare, deve fare un concorso pubblico come tutti i cristiani laureati in giurisprudenza. In altre parole, deve avere le stesse chance di accesso di un avvocato o di un funzionario statale. Da questa separazione, il cittadino coinvolto in un processo trarrebbe un indubbio vantaggio: sarebbe posto in una situazione di assoluta parità con l’accusa, davanti al giudice terzo.


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