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Riforma Ordine dei giornalisti: laurea triennale per diventare pro, cultura generale e deontologia per i pubblicisti

Da Kobayashi @K0bayashi

La Commissione Cultura della Camera dei Deputati ha approvato all’unanimità, con la sola astensione del deputato del Pdl Renato Farina (l’ex agente Betulla, radiato dall’Odg per essersi messo a servizio dei servizi segreti italiani), la proposta di riforma dell’Ordine dei giornalisti avanzata dall’esponente del Popolo della Libertà Giancarlo Mazzuca per modificare alcuni aspetti dell’Ordine a quasi cinquant’anni dal varo della cosiddetta “legge Gonella” che lo istituì il 3 febbraio del 1963, più di 17mila giorni fa.

L’ammodernamento dell’organismo giornalistico, provvedimento che dovrà ora passare dal vaglio del Senato, se passasse nella sua formulazione attuale (o con modifiche non sostanziali) prevederebbe lo snellimento del Consiglio Nazionale, massimo organo dell’Ordine, con una decisa riduzione del numero dei suoi componenti che passerebbero dagli attuali 150 agli ipotizzati 90 membri nel rapporto di due a uno tra giornalisti professionisti e pubblicisti.

Regole più definite anche per i nuovi ingressi: le modifiche principali riguardano le modalità di accesso alla professione, che prevederanno la possibilità di diventare giornalisti professionisti soltanto attraverso il requisito del conseguimento di almeno una laurea triennale e di accedere all’albo dei pubblicisti attraverso un esame obbligatorio di cultura generale che comprenda anche nozioni sui principi fondanti della deontologia professionale.

Cancellata dalla proposta, invece, l’invocata Commissione deontologica nazionale alla quale poter ricorrere contro le decisioni in materia disciplinare prese dai consigli regionali, che a meno di ribaltoni del secondo ramo del Parlamento rimarranno i giudici ultimi del destino dei professionisti dell’Ordine in caso di controversie. Niente da fare, poi, nemmeno per quanto riguarda la possibile creazione della figura del Giurì per la correttezza dell’informazione e per la tutela di soggetti terzi, che nelle intenzioni di una parte della Commissione Cultura avrebbe dovuto occuparsi del meccanismo di conciliazione tra le parti per evitare il ricorso al giudizio civile o penale.


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