Nella gestione della Fondazione Banco di Sardegna è stata sempre rispettata una netta separazione tra finanza e politica in ottemperanza ai principi etici che devono regolare le fondazioni bancarie? Sono stati messi in atto tutti gli strumenti per ottenere un profondo cambiamento delle regole di governance, nella direzione di una chiara e trasparente rappresentatività degli organi e della garanzia del loro necessario ricambio? Lo chiedono i rappresentanti del partito dei Riformatori sardi in Consiglio regionale in una interpellanza e in una interrogazione a risposta scritta che segue le polemiche, tutte interne al Partito Democratico, che il mese scorso hanno accompagnato la nomina tramite selezione pubblica del nuovo responsabile dell’area Comunicazione della fondazione. Nei due documenti gli esponenti dei Riformatori sardi auspicano che la Giunta regionale di centrosinistra guidata da Francesco Pigliaru vigili maggiormente sulla gestione di un organismo che, per funzioni e risorse a disposizione, esercita un ruolo strategico di primaria importanza nell’economia della Sardegna.
La Fondazione Banco di Sardegna, che da poco ha scelto il suo nuovo responsabile dell’area comunicazione, è proprietaria del 49% delle quote del Banco di Sardegna e possiede un patrimonio complessivo di circa novecento milioni di euro che devono essere gestiti – sostengono giustamente i Riformatori sardi nelle due istanze – “in modo imparziale, nell’esclusivo interesse dei cittadini sardi, nonché in collaborazione con tutti gli attori sociali ed economici delle realtà locali, assicurando la netta separazione tra politica e finanza”.
I dubbi dei Riformatori sardi
L’interpellanza dei Riformatori sardi, primo firmatario Attilio Dedoni, sottolinea innanzitutto alcuni elementi gestionali, evidenziando come lo statuto della Fondazione Banco di Sardegna consenta al Comitato di indirizzo di nominare i suoi successori e i componenti del Consiglio di amministrazione senza vietare esplicitamente la nomina di se stessi. Pertanto – sostengono – ad ogni tornata si verificherebbe un inaccettabile sistema di autonomine.
«Il comitato di indirizzo – si legge nell’interpellanza – è formato da 18 componenti, cinque dei quali scelti direttamente dal comitato e gli altri 13 sulla base di terne fornite da diversi soggetti (Consiglio regionale, consigli provinciali, università e Camere di commercio), lasciando dunque ampia discrezionalità al comitato di indirizzo che decide, con un sistema medievale di autonomine, sia i propri successori sia i componenti del Cda».
«Ormai da tempo – prosegue l’interpellanza dei Riformatori sardi – tutti i componenti del Consiglio di amministrazione, quest’ultimo compreso, finiscono per appartenere, pressoché esclusivamente, a una sola parte politica o peggio ad un solo partito politico e, tutto ciò, non può sicuramente considerarsi rappresentativo della comunità di riferimento cui la Fondazione dovrebbe rispondere della sua azione».
Per questo motivo i Riformatori sardi chiedono a presidente della Regione Francesco Pigliaru e all’assessore alla Programmazione Raffaele Paci di verificare se “quanto messo in atto dalla Fondazione, anche recentemente, sia stato effettuato nell’interesse generale dell’intera comunità sarda in modo imparziale e senza particolarismi partitici, nel rispetto di quei principi di trasparenza, di pubblicità e di obiettività dell’operato, che sono degli attributi imprescindibili nell’ambito dei quali deve essere esercitata l’autonomia operativa”.
Nell’interrogazione, primo firmatario Michele Cossa, i Riformatori sardi chiedono invece ragguagli sulla recente cessione da parte della Fondazione della Sardaleasing, uno dei più importanti e influenti attori finanziari sul mercato creditizio della Sardegna, alla controllata Banca Popolare dell’Emilia Romagna (argomento peraltro sviscerato da tempo dalla testata online SardiniaPost), chiedendo se anche questa “è un’operazione effettivamente finalizzata a promuovere lo sviluppo economico-sociale del territorio e della collettività sardi”.
In seguito ad un patto parasociale siglato nell’ottobre 2013 con la BPER, la Fondazione Banco di Sardegna si sarebbe infatti impegnata ad una serie di obbligazioni a favore della stessa banca emiliana nel caso di una eventuale vendita delle proprie quote azionarie.
«Non sono affatto chiari i vantaggi ed i benefici economici di tale accordo per la Fondazione», spiegano nell’interrogazione i rappresentanti dei Riformatori sardi, evidenziando come in seguito al nuovo patto sociale e alla successiva fusione con l’ABF Leasing (proprietà BPER) il Banco di Sardegna abbia perso la storica partecipazione alla Sardaleasing oltre ad aver ceduto una serie di filiali continentali di grande rilevanza.
Eccone un brano:
Al fine di sottrarre al Banco di Sardegna quella partecipazione senza nessun esborso di capitali è stata attuata una fusione per incorporazione, prevedendo un concambio di azioni fra le due società, con l’attribuzione ad ogni azione dell’ABF il valore di 5,46 volte maggiore di quella della società incorporante (cioè la Sardaleasing): attraverso quest’iniqua moltiplicazione, la BPER ha ottenuto il 51 per cento delle azioni, cioè il suo controllo ed ha retrocesso il Banco di Sardegna dal 91,16 al 45,22 per cento del capitale. Allo stato attuale, è ancora anonimo l’advisor indipendente che ha collaborato all’intera operazione, così come sono sconosciuti i motivi per i quali la Fondazione, attraverso i suoi rappresentanti nel consiglio di amministrazione del Banco di Sardegna, non abbia chiesto ed ottenuto chiarimenti sul moltiplicatore del 5,46 che sembrerebbe privilegiare l’incorporanda e penalizzare pesantemente l’incorporante.
Di conseguenza il partito dei Riformatori sardi chiede al presidente della Regione Francesco Pigliaru se “ritenga che il patto sociale siglato l’ottobre 2013 tra Banco di Sardegna e BPER e la conseguente svendita di Sardaleasing alla controllata BPER possa ritenersi un’operazione effettivamente finalizzata a promuovere lo sviluppo economico-sociale del territorio e della collettività sardi”.