Eurostat certifica che in Italia abbiamo gli stipendi più bassi d'Europa, peggio della Grecia (23000 euro contro 29000 euro).
Non solo, abbiamo avuto pure la crescita dei salari più bassa d'Europa (solo +3% di aumento tra il 2005 e il 2009).
Nel contempo abbiamo i manager pubblici più pagati d'Europa e la classe politica con i salari più alti: troppo alti, in confronti alla qualità (leggi anticostituzionali, a protezione delle lobby, le leggi ad personam) e alla quantità di lavoro che fanno (vedi alla voce assenteismo).
In Parlamento siedono condannati, inquisiti, politici sotto processo.
L'articolo 18, lo ha spiegato per bene Lucia Annunziata ieri a Valter Veltroni, vale solo per il 35% dei lavoratori e, ogni anni, sono solo 700 i ricorsi ai tribunali per questa legge.
Nonostante queste tutele contro i licenziamenti discriminatori, si sono persi in questi tempi di crisi migliaia di posti, le aziende delocalizzano o ricorrono alla cassa integrazione.
Di fronte a questi numeri, come si fa a dire che i problemi dell'Italia sono i costi del lavoro (e non invece delle troppe tasse), le rigidità dei contratti (e non invece la burocrazia), certi sindacati che sanno solo dire di no?
Come si fa a dire che se vogliamo aumentare i salari (e questo sarebbe si un impulso per i consumi) si deve aumentare la produttività?
Chi lavora oggi, perchè ancora ha un posto, è costretto già a fare sacrifici. Chiedete alle donne impiegate alla Luxottica dello stabilimento di Rovigo, che hanno accettato il turno delle 5-12.
O i lavoratori di Mirafiori e Pomigliano che hanno votato si al referendum pro Fiat, sperando negli investimenti del piano Fabbrica Italia.
Persone che oggi si sentono dire che se non siamo sufficientemente competitivi per esportare in America, due stabilimenti in Italia sono a rischio.
Dobbiamo trasformarci nei cinesi d'Europa?
E' questo il riformismo?
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