Domenica al parco, Chengdu. Di Fabio
Il taxi - quella berlina Volkswagen verde metallizzato prodotta e distribuita soltanto in Cina - sferraglia e sfumazza tra gli stradoni elevati che tagliano a fette il centro di Chengdu. Sovrappensiero osserviamo i piazzali, i parchi, i megaschermi e i cartelloni giganti. C'è anche una barca ristorante, attraccata lungo la riva di quello che potrebbe essere un fiume agonizzante o un canale sozzo. Per essere una metropoli cinese però questa città non è per niente male: ci si può passeggiare, la gente è cordiale e simpatica, i prezzi sono contenuti e la cucina è buona, quando il peperoncino non ti fa fuori la lingua.È il fine settimana e siamo diretti verso una di quelle zone in cui le autorità di ogni città cinese amano concentrare (per direttive di partito?) la maggior parte dei locali notturni. Essendo praticamente dei supermercati del divertimento questi posti appartengono a catene e grandi società e quindi hanno spesso gli stessi nomi ovunque: puoi cambiare provincia, ascoltare nuove lingue, osservare facce e costumi diversi ma troverai un Babyface, un Mix o qualcosa del genere dovunque tu vada."Sai dov'è Luca adesso?"La voce di Lorenzo mi sbroglia dal nodo intricato di pensieri casuali che come al solito ha cominciato a intrecciarsi nella mia mente dopo il trentesimo secondo di silenzio. La natura stessa della domanda mi lascia intendere che la risposta ha a che fare con qualche informazione che lui possiede e che io ovviamente ignoro. E che questo è lo strumento retorico con cui ha deciso di farmela desiderare, pregustare e indovinare. O più probabilmente per fuorviarmi: e infatti io, forse a causa delle fantasticherie appena interrotte, ci casco piuttosto pesantemente."No! Dov'è?""Ma dai, dove vuoi che sia? A letto o in bagno, no? Io dico che in questo preciso istante è acquattato sulla sua turca preferita!"La risatina che mi si è accesa in faccia viene prontamente smorzata da un improvviso soffio di tristezza, mentre osservo la skyline che ondeggia oltre il finestrino. Lorenzo e io stiamo esplorando la città, diretti in qualche locale dalla musica terribile, colmo di maschi cinesi con gli ormoni traditi dalle politiche demografiche maoiste prima e dai drastici provvedimenti di controllo delle nascite poi. E ragazze che sapendo di essere una succulenta minoranza li sfogliano come petali di margherita. Ci avviamo verso la via dei balocchi di Chengdu disposti a sopportare tutto ciò pur di farci quattro risate e scoprire nuove sfaccettature della cultura e dei costumi di un paese spesso misterioso e a tratti incomprensibile, con il solo aiuto di una bottiglia di birra - brandita come se fosse una torcia in una grotta - mentre Luca stringe i denti e strizza le budella per liberarsi di qualunque sia quel veleno, virus o batterio che da un paio di giorni lo costringe a non avventurarsi oltre un raggio di venti metri tracciato idealmente attorno a un bagno di fiducia. La cosa che mi rattrista è che pur avendo superato i trent'anni già da un po' Luca è pur sempre il mio fratello minore. Non che abbia costantemente bisogno di me al suo fianco, come quando scendevamo dal condominio alla vietta, un bimbo indifeso di sei anni e uno un po' meno indifeso di otto, incaricato da sua mamma di badare al fratellino che gli stava aggrappato con la mano destra mentre con la sinistra faceva strisciare un peluche sul marciapiedi. Il fatto è che è venuto in Cina per trascorrere le vacanze con me. In un paese che può essere ostico se non ti ci sai muovere e se non parli una parola di cinese. Ma soprattutto se sei stato centrato all'intestino da un'intossicazione alimentare, una dissenteria che come un sacco di cemento ti pressa le spalle mentre stai accovacciato a subirne i colpi, coi piedi incollati ai supporti del bagno asiatico fino a che non sai se ciò che più ti fa male sono le viscere o le cosceMentre lui cerca di alleviare le sofferenze con una misteriosa scatola di pastiglie cinesi e dei Gatorade noi ordiniamo la prima birra e ci osserviamo attorno, indicando e commentando i siparietti e i personaggi che popoleranno i nostri ricordi per i prossimi anni. Persino i locali-catena col nome sempre uguale a Chengdu sono più accoglienti: c'è spesso un palco da cui qualcuno canta dal vivo e non sempre si tratta della solita sequela di brani di pop cinese. Ci sono anche delle aree libere, spaziose, che chi non vuole ballare attorno ad un tavolino senza seggiole può utilizzare per ritagliarsi un piccolo angolo, sgambettare, avventurarsi tra la gente o come stiamo facendo noi fermarsi a osservare.Mio fratello si sta disintossicando, tra crampi in uno squallido cesso e sudori freddi in una stanza minuscola - lui che potrebbe permettersi un hotel a cinque stelle o un ospedale internazionale - mentre io chiacchiero e rido con Lorenzo. E poi quasi per caso incontro una ragazza, che alcuni mesi più tardi passerà per Kunming dove assieme...un attimo, ma cosa mi metto a raccontare, perché divago? Questo era, è e rimarrà un post rigorosamente ambientato a Chengdu.
Chengdu, Cina, agosto 2006