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Visibilità - Introduzione
Intervistato in un programma televisivo italiano in occasione dell’uscita dell’ultimo album, Band of Joy, Robert Plant offrì una risposta sagace ad una domanda banale - che differenze esistono tra la musica di oggi e quella della sua giovinezza. Il cantante individuò la diversità principale nella mancanza di mistero, nell’assenza di segreto, di magia, derivanti dal fatto che oggi tutto è fin troppo mediatico, noto, pubblico; in una parola, visibile.
“Una volta, quando ero bambino, i musicisti erano gente misteriosa (…) li vedevi alla televisione ogni tanto però la copertura mediatica era limitata. Adesso invece il gioco è aperto a tutti e il mistero non c’è più…e senza mistero è un altro mondo”
Mistero! Che parola fantastica. I musicisti erano iniziati, uomini sacri e quasi invisibili. Lo stesso Plant si trovò indirettamente al centro di un aneddoto curioso riportato da Dan McCafferty e Pete Agnew, cantante e bassista dei Nazareth, durante un intervista con Dave Ling di Classic Rock Magazine:
McCafferty and Agnew were despatched to a pub in London’s Fleet Street, then the hub of music journalism, to drum up some much-needed publicity. Whilst awaiting the journalist that would interview them they struck up a conversation with two other longhaired herberts. “They asked us if we were in a band and when we said that we were had actually heard of Nazareth,” says Pete. “We asked them the same question, and were embarrassed to find that they were in Led Zeppelin. We were eating sausage and beans with none other than Robert Plant and Jimmy Page, but we’d never seen a picture of them.” da: http://www.daveling.co.uk/docnazareth.htm
“Ci chiesero se eravamo in una band e rispondemmo chiedendogli se avevano mai sentito parlare dei Nazareth; gli facemmo qualche domanda e fummo imbarazzati nello scoprire che loro erano dei Led Zeppelin. Eravamo a mangiare salsiccia e fagioli con Robert Plant e Jimmy Page, ma non avevamo mai visto alcuna loro foto”
Quale sia la portata “conoscitiva” della visibilità sta tutta qui. McCafferty e Agnew erano giovani rocker entusiasti, discepoli hard rock che stavano imparando a suonare su Good Times Bad Times e che avevano nei Led Zeppelin il loro personale Mito. E mai erano entrati in contatti visivo con i loro Eroi: non sapevano chi fossero, come fossero fatti, se avessero i capelli lunghi o biondi o la barba fluente. Non li conoscevano. La musica era ben presente ed indelebile nella loro testa, mancava l’immagine. Restava il mistero… Chissà se oggi sarebbe possibile una situazione simile…
Qual è il ruolo della Visibilità nell’Arte e per il successo di un musicista, colui che ha direttamente a che fare con le orecchie e solo indirettamente con gli occhi? Si può essere musicisti invisibili? Se la star non ha un’immagine che possa fissarsi indelebilmente nelle menti degli ascoltatori, è una vera star? In definitiva: Può esistere musica senza l’immagine di colui che l’ha prodotta? Videor, verbo latino, significa letteralmente essere visto; quindi anche esistere. Ed essere visti, nel fatuo mondo artistico significa spesso essere conosciuti e famosi, specie attraverso i media moderni per i quali a grande visibilità corrisponde grande popolarità. Ma alla radice di videor sta qualcosa che va al di là dell’esigenza di marketing e commercializzazione del prodotto, al di là della conquista del successo; qualcosa che ha a che fare con la ricerca di sé, per giustificare e ribadire l’esistenza dell’opera stessa - e del suo autore - di fronte ad una comunità di possibili fruitori. Videor ergo sum? Forse la pensava così Ray Davies quando, in Village Green, scriveva: People take pictures of each other, Just to prove that they really existed. Anche in una sfera prettamente “acustica” come quella musicale, l’autore ha la necessità di ribadirsi tale, di essere identificato non solo attraverso la sua produzione ma anche per la sua figura. Chi troverà il modo di creare un autoritratto in musica avrà raggiunto un risultato artistico notevole. Dall’altro lato dello spettro sta la forma attiva del verbo: non più essere visto bensì vedere. Come vede l’artista? Come recepisce le realtà che lo circonda, come riesce a manipolarla per costruire mondi altri? Si può trasformare una sensazione puramente visiva in suono o addirittura in musica? Tante domande per ora. Speriamo, proseguendo il percorso, di trovare anche qualche risposta.
IMMAGINI
Odilon Redon - Yeux dans la forêt (1882)
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