Oggi ho avuto un vuoto di idee, e così ho chiesto consiglio in rete per sbloccare il grumo che mi ha intasato momentaneamente i vasi creativi, e… POP!
La mia carissima @chiaratiz mi suggerisce un pensiero nato da un sogno: “stanotte ho sognato che ero in ambasce davanti a un cassonetto in cui qualcuno aveva buttato un sacchetto di roba, mezzo umido mezzo residuo, e io ero indecisa se smistare la monnezza altrui oppure no“.
Pensandoci, anche io qualche mese fa feci il mio primo sogno green: una donna buttava via tutto insieme un ammasso di rifiuti non differenziati, e io non potevo fare a meno di intervenire e spiegarle, con fare da maestrina, che la carta andava qui, mentre la plastica andava là e così via.
E ancora: Vanessa Farquharson racconta, fra i suoi 366 cambiamenti, di essersi messa un giorno a raccogliere, con guanti di plastica e sacco grande, i rifiuti abbandonati nei dintorni del suo ufficio. Non senza qualche esperienza piuttosto disgustosa e grande soddisfazione. Poi ha detto “Grazie, mai più”.
E poi: Colin Beavan confessa di aver provato a pulire una porzione di riva dell’Hudson, e di aver riempito in men che non si dica decine di sacchi, pur avendo percorso pochissime decine di metri. Per scoprire poi che esistono associazioni e grandi gruppi di volontari che possono davvero fare la differenza, rispetto a un singolo dal cuore d’oro.
E così io mi ritrovo di fronte a questa prova: che fare con i rifiuti degli altri? Non credo che arriverò al punto di prendere sacco e guanti per pulire un parco o un marciapiede, ma quando possibile farò notare a chi getta rifiuti in terra che “gli è caduto qualcosa di mano“, a chi non tira su la cacca del suo cane, che è il caso di farlo, a chi non fa la corretta raccolta differenziata, che deve essere fatto.
A caro prezzo, però: infatti verrò tacciata sicuramente di rompicoglioneria, ma sono certa che uno su cento, tra quelli a cui farò la pressa, sentirà accendersi una scintillina nel cervello e magari migliorerà i suoi comportamenti.
Mi impegnerò comunque a non usare toni maestrini o saccenti, ma a spiegare i miei perché con pazienza a chi li voglia ascoltare.
E se mi capiterà fra i piedi un giornale accartocciato o una bottiglietta di plastica, non mi farò scrupoli nel chinarmi, raccogliere e gettare l’oggetto incriminato.
La parola conduce, l’esempio trascina.
Ora voi: quanto siete rompiballe, per strada, e quanto in casa e in ufficio?
Post ispirato anche e soprattutto da Tatiana che nel suo “Ma veramente?” racconta gli stessi dubbi che ho io, su quanto sia opportuno ammalarsi di rompipallismo e quant’altro. Grazie @tascabile!