Sono in molti coloro che da tempo propongono una (parziale) cancellazione dei debiti tra “centro” e “periferia” come primo passo per la soluzione della crisi dell’eurozona. Ne parla ad esempio Kenneth Rogoff in un articolo pubblicato dal Sole 24 ore. La maggior parte dei proponenti sottolinea che il debito estero è troppo grande per essere ripagato senza che le economie debitrici si ammalino a causa dell’austerità. Tentare di ripagare il debito estero troppo rapidamente rischia di mandare in default imprese, banche e interi stati, con danno per gli stessi creditori. Come minimo sarebbe necessaria una massiccia dilazione dei rimborsi. L’opposizione a questa proposta è chiaramente di natura politica prima che economica. Non sarebbe del resto il primo caso di “giubileo” dei debiti nella storia recente (si pensi all’accordo di cui la Germania beneficiò nel 1953), ma i tedeschi e gli altri “austeriani” mettono in evidenza che, senza questa spada di Damocle, i paesi periferici non farebbero le “riforme”.
E da qui però scaturisce un’argomentazione persino più solida a favore del debt relief che fa fatica ad entrare nel dibattito.
La riprendiamo da Marriner S. Eccles, il presidente della Federal Reserve nominato da Franklin Delano Roosevelt. Nel 1933, quando l’America era in piena “Grande Depressione” e avrebbe beneficiato dei rimborsi dei suoi debitori, Eccles sostenne di fronte al Senato(*):
I paesi debitori proveranno ad adempiere alle loro obbligazioni producendo e vendendoci più beni di quanti essi ne comprino da noi.
Questo, secondo Eccles, danneggerebbe l’industria americana:
Dobbiamo scegliere tra accettare beni esteri sufficienti per pagare i debiti esteri vantati dal nostro paese, o cancellare i loro debiti. Questa non è un problema morale, ma matematico. La cancellazione di questi debiti sovrani che ci sono dovuti sarebbe di grande beneficio per le nostre economie e contribuirebbe a ridurre la disoccupazione sia nei paesi debitori che nelle nazioni creditrici…
La cancellazione, o di un regolamento dei debiti su una base che praticamente equivale ad una cancellazione, in cambio di una stabilizzazione delle valute dei debitori, assieme ad alcune concessioni commerciali e un accordo per ridurre gli armamenti, sarebbe un piccolo prezzo da pagare per questo paese, rispetto ai grandi benefici che ne deriverebbero per il mondo intero, inclusi noi stessi.
La lungimiranza e la visione globale di Eccles sono impensabili oggi. Anche se il capo della Fed parlava di debiti sovrani e non dei debiti privati – il vero problema dell’eurozona – il ragionamento non cambia radicalmente. E non cambia neanche se mettiamo in conto che, nella visione della Germania della Merkel, le economie indebitate dovrebbero ripagare i debiti vendendo di più fuori dall’eurozona, non alla Germania. In tal caso, infatti, i paesi periferici si trovano a competere con gli stessi tedeschi, cercando di rosicchiare quote di mercato, peraltro in uno scenario di domanda globale asfittica.
Esiste evidentemente un altro modo per costringere la Germania a “cancellare” parte dei debiti, ovvero l’uscita dei paesi debitori dall’Eurozona, sebbene ciò aggraverebbe la posizione di chi – soprattutto nel settore privato – ha contratto debiti sotto diritto estero. Di fronte a una minaccia simile, se accompagnata da una strategia credibile, forse qualcuno a Berlino incomincerebbe a pensare che le soluzioni condivise, come quella di Eccles, convengono a tutti nel lungo periodo. Ma il dibattito europeo è ancora incartato su una di fatto inesistente “flessibilità” di regole che rimangono sbagliate e controproducenti.
(*) Marriner S. Eccles, Statement before the Senate Finance Committee on Investigation of Economic Problems, 25 febbraio 1933
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