Rimmel

Da Julesdufresne

La mia più grande abilità, da ragazzina, era quella di possedere sempre e comunque il tipo sbagliato di cose: andavano i jeans larghi in fondo, e io li avevo a sigaretta. Andavano i capelli scalati, e io li avevo pari. Andavano le felpe con la zip, e le mie non ce l’avevano. Andavano le magliette con dentro le tette, e io ah ha ha.

Ero la rappresentazione allegorica della sfigata, secondo ogni criterio e parametro.

L’aspetto della cosmesi non faceva eccezione: ciò che serviva per essere bellissima erano le matite nere e i lucidalabbra trasparenti, e quello che mi rigiravo io tra le mani era una matita azzurra e un correttore color mestizia (discorso a parte per lo stick glitterato, quello me l’avevano regalato, quindi era ok – al limite ero io che non sapevo come estrarne la figaggine, o povera scema).

Ero un po’ incerta sul da farsi.

Ma la fortuna attendeva solo d’incrociare la mia strada, sotto forma -per la precisione- di numero speciale di Ragazza Moderna, numero che conteneva, come in un disegno benevolo, esattamente ciò di cui ero convinta di avere bisogno. La comperai una mattina di novembre e mi recai a scuola pregustando il miracolo.

(Sì, a scuola, perché avevo la gustosa convinzione di stare per contravvenire a un divieto implicito di mia madre, e di avere quindi la necessità di sistemarmi una volta che fossi stata fuori dal suo controllo − mia madre non si sarebbe accorta in un milione di anni, e comunque non aveva un’opinione in merito. Ma io preferivo illudermi) (il problema di tornare a casa senza essermi prima lavata la faccia non me lo ponevo, all’epoca, no) (non sono mai stata un genio del pensiero razionale e della programmazione) (eh).

Il mio più grande disagio estetico, quando avevo dodici anni, erano gli occhi rimpiccioliti dagli occhialispessi™, seguiti a ruota dalla combo mortale bocca grande e apparecchio. Sensatamente, applicai un chilo di matita nera nella rima interna inferiore,  sbattei le mie ciglia incolori senza rivolgere neanche un fugace pensiero al concetto di mascara mascara, rimisi gli occhiali, mi impiastricciai bene le labbra di robaccia luccicosa, feci un sorrisone metallico, sparsi due o tre passate di glitter all’arancia sulle guance e uscii ad affrontare il mondo in generale e la geometria analitica in particolare.

Ero un cesso, ma ero marginalmente più sicura di me. La mia carriera di generatrice di pessime trovate cosmetiche era appena all’inizio.

E non parliamo dei capelli. *

(La Titolare sorride, tutta unta di spiritosanto)

—–

*dei capelli vi parlo la prossima volta, e metto pure le foto.



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