In base al disegno di legge voluto dai Ministeri della Salute e di Grazia e di Giustizia dal 1 marzo 2013, gli Ospedali Psichiatrici Giudiziari avrebbero dovuto chiudere, sia per una mancanza di strutture sia per assenza di finanziamenti che, benché stanziati, non sono utilizzabili facilmente. Questa decisione avrebbe lasciato gli oltre 800 malati ricoverati senza cure, soli e con nessuna alternativa adatta a gestire le loro malattie.
A porre la situazione all’attenzione della Camera dei deputati, con un documento sottoscritto da tutte le sue sedi regionali, è stata la Società Italiana di Psichiatria. Quest’ultima denuncia la carenza di assistenza psichiatrica nelle carceri, nelle quali convergeranno molti di questi pazienti.
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Malati che andranno a sommarsi a quel terzo di detenuti che è ad alto rischio di malattie mentali: psicosi, depressione, disturbi bipolari, ansia e, nel peggiore dei casi, il suicidio.
Negli ultimi anni in Italia il tasso di suicidi anni è aumentato del 300%: dai 100 del decennio 1960-1969, a più di 560 nel 2000-2009. Crescita che non si è arrestata: solo nel 2011 sono stati 63 i suicidi, 0,9% per 1000 detenuti. Persone a volte già malate, altre che si ammalano durante la detenzione, complici il sovraffollamento e i contesti sociali, spesso difficilmente gestibili.
In seguito a ciò è stata approvata la proroga degli OPG fino ad 1 aprile 2014, con il decreto legge 25 marzo 2013 n.24. votata da tutti, dal Pd al Pdl al M5s, passando per Sel, Scelta Civica e tutti gli altri.
La nuova legge precisa anche gli impegni che Regioni e ASL dovrebbero prendere; ovvero l’obbligo di farsi carico dei malati all’interno di progetti terapeutico-riabilitativi individuali che assicurino cura e reinserimento sociale.
A quanto pare l’aria che tira è la programmazione di strutture residenziali “Speciali”, (dei mini-OPG), aprendo altri problemi per quanto riguarda l’eventuale utilizzo, improprio, di personale sanitario dei Dipartimenti di Salute Mentale in funzioni anche “detentive”.
Risulta quindi di rilevanza andare a potenziare sezioni di osservazione psichiatrica dei DSM delle ASL negli istituti di pena. Questi organi, infatti, possono apparire utili nella fase della cognizione della pena del malato di mente, autore di reato, andando ad attivare percorsi diagnostici o terapeutici, differenziando coloro che sono malati da coloro che sono prevalentemente “delinquenti”. Questo al fine di non attribuire compiti inesatti agli psichiatri: sarebbe corretto, per loro, prendersi cura di chi ne ha realmente bisogno, piuttosto che assumersi la custodia di persone per il loro comportamento antisociale, non determinato, o solo in parte, da un’infermità.
Se da una parte c’è la preoccupazione di poter vedere realizzati dei mini-Opg, dall’altra vediamo anche uno stato che ha deciso di non decidere, lasciando passare un altro anno.
A conclusione pare, quasi, che essere “matti” in Italia significa vedersi negare tutto, persino la propria patologia: un Paese che nega la malattia mentale, che arriva a nasconderla a sé stesso dentro dei “lager”, in cui può finire chiunque in qualunque momento, non è un Paese moderno.
Mai meglio che ora serve richiamare lo spirito della Legge 180, che chiudendo i manicomi, restituì dignità e cittadinanza alle persone malate di mente, e rese migliore l’Italia.
Articolo di Irene Bianchi