La riforma costituzionale deve andare direttamente in aula, senza voto in commissione. Altrimenti non si rispettano i tempi, non si riesce ad approvare il tutto prima della sessione di bilancio che parte il 15 ottobre sulla legge di stabilità. La giornata è convulsa. Ma il colpo di scena delle opposizioni che a sorpresa hanno deciso di ritirare gli emendamenti presentati in commissione sul ddl Boschi non cambia di una virgola l’obiettivo di Matteo Renzi. Il premier vuole che il testo vada in aula al più presto possibile. E infatti in capigruppo viene deciso che ci va domani. Perché, dice ai suoi, “i numeri ci sono”. A Palazzo Chigi è già pronto il pallottoliere sul Senato: si contano 150 tra assenze vere e tattiche, la maggioranza calcola di ottenere dai 155 ai 165 voti. Non c’è un numero magico preciso dunque, ma questa forbice è il risultato di un puntiglioso calcolo degli apporti che arriveranno alla maggioranza di governo.
I numeri e gli schemi che girano a Palazzo Chigi sui fogliettini degli appunti di Renzi sono il risultato di un lungo lavoro di scouting tra i senatori di Palazzo Madama. Incontri e colloqui continui per assicurare l’ok alla riforma costituzionale e bypassare così l’opposizione interna al Pd. Per dire, stamattina Renzi e Maria Elena Boschi hanno partecipato ad una delle riunioni mensili con i capigruppo del Parlamento sulla sicurezza del paese, una consuetudine inaugurata dal premier a luglio per via dell’emergenza immigrazione. C’erano anche il ministro degli Esteri, Paolo Gentiloni, il sottosegretario con delega ai Servizi, Marco Minniti. C’è stata la relazione di Angelino Alfano. Ma, a margine, la riunione è servita anche per un faccia a faccia molto laterale tra il ministro Boschi e il presidente dei senatori verdiniani Lucio Barani, con tanto di fogliettini per appuntare i calcoli. E anche per Renzi è stata l’occasione per una chiacchierata con i capigruppo di maggioranza. Tanto per ribadire, ancora una volta, che, se sulla riforma costituzionale la maggioranza va sotto, l’unica strada sarebbe quella del voto. Ma il premier è sicuro di avere i numeri.
Un po’ più tardi, sempre in mattinata, a Palazzo Chigi si è affacciato l’ex leghista Flavio Tosi, che al Senato conta 3 senatori della sua area. Il sindaco di Verona è stato ricevuto da Renzi e non sembra proprio che abbiano parlato della mancata visita del premier sabato scorso a Verona, quando il capo del governo a sorpresa ha deciso di volare a New York per la finale degli Usopen, annullando l’iniziativa nella città dell’Arena e alla Fiera del Levante di Bari.
Insomma, al netto di tutto, mentre il Senato ribolle del nuovo scontro con l’opposizione, mentre si approfondisce la frattura interna al Pd, a Palazzo Chigi il quadro sembra chiaro sul voto in aula. I conti son presto fatti. Dei 112 senatori del Pd, il governo pianifica di poter contare su 90 voti favorevoli, confidando nel fatto che almeno 6 dei 28 firmatari del documento di minoranza sull’articolo 2 si sfileranno. Quanto a Ncd, su 35 senatori, in 30 voteranno col governo. Secondo i calcoli di Palazzo Chigi, ne sfuggiranno 5. Cifra alla quale corrispondono anche dei nomi e dei cognomi negli appunti del premier: Andrea Augello (che però alla fine potrebbe votare col governo), Antonio Azzollini, Carlo Giovanardi, Roberto Formigoni, Francesco Colucci. Gruppo autonomie: su 19 senatori, 15 staranno col governo.
E veniamo all’opposizione. Renzi sa di poter contare su tutti i 10 voti del gruppo di Denis Verdini, quelli di ‘Al-a’ (Alleanza liberal-popolare Autonomie). Ma il senatore ex berlusconiano avrebbe promesso a Renzi di riuscire a portarsi dietro altri senatori da Forza Italia. Una prospettiva che, secondo i calcoli di Palazzo Chigi, farebbe lievitare i numeri dei verdiniani da 10 a 15. Per esempio, starebbe passando da Forza Italia ad ‘Al-a’ Francesco Maria Amoruso, finora vicino a Maurizio Gasparri. E poi tra Misto, Gal e Idv, dovrebbe arrivare un’altra decina di voti: tra cui Benedetto Della Vedova, l’ex berlusconiana Manuela Repetti, Salvatore Margiotta, il sottosegretario Angela D’Onghia, Paolo Naccarato, Alessandra Bencini dell’Idv.
Sulla base di questi calcoli, la maggioranza in aula c’è. Su questo Renzi è tranquillo. E continua a insistere che in aula si tratterà solo sulle parti emendabili. Vale a dire sugli emendamenti che non sono di doppia conforme rispetto all’ultima lettura della Camera. L’articolo 2 sull’elettività dei senatori, per intendersi, è tra questi: intoccabile. Così i ragionamenti del premier e dei suoi. Il punto però è arrivarci in aula. Perché il problema è in commissione, dove su 14 di maggioranza, ben 3 sono della minoranza Dem. Ma alla fine, dopo una dura riunione della conferenza dei capigruppo, Renzi la spunta: la riforma costituzionale approda nell’aula del Senato domani. Scadenza degli emendamenti, mercoledì.
di Angela Mauro via huffingtonpostitalia