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Ripensare il federalismo

Creato il 07 ottobre 2012 da Leone_antonino @AntoniLeone
Ripensare il federalismo Articolo di Roger Abravanel pubblicato sul Corriere della Sera il 7 ottobre 2012 Il governo sta rispondendo agli scandali delle Regioni con norme che tentano di rafforzare i controlli sui bilanci degli enti territoriali e inasprire le sanzioni. Le intenzioni sono giuste ma controllare i 30 mila euro del Suv che Fiorito «Er Batman» ha comprato per la neve a Roma assieme ai 10 miliardi della spesa sanitaria non sarà facile. Ma la risposta del governo Monti agli italiani è il massimo di ciò che si può fare oggi. Le Regioni sono diventate ormai il pilastro del federalismo sostenuto prima dalle sinistre, poi dalla Lega e oggi ancora dai neoliberisti che credono in uno Stato leggero e vicino ai cittadini e invocano un «vero federalismo» ispirandosi a quello degli Stati Uniti. Ma il federalismo Usa da noi non è fattibile perché negli Usa gli Stati sono nati prima dello Stato federale (come è stato anche il caso dei Cantoni svizzeri) e si sono confederati in un patto (foedus) per la difesa e la moneta. Vantavano una storia e esperienza di governo autonomi. Che non è il nostro caso perché le Regioni non hanno nessuna base storica, un senso di appartenenza ridotto da parte dei loro abitanti, che si vedono semmai come cittadini del loro comune (pensiamo a pisani, livornesi e fiorentini che appartengono alla regione Toscana). Non hanno un’identità linguistica (come avviene invece in Catalogna e nei Paesi baschi) con la sola eccezione dell’Alto Adige, non a caso una delle poche che funzionano. Sono artificiali, più lontane dai cittadini finanche dello Stato centrale, senza peraltro averne i controlli (come il Tesoro e la Corte dei Conti) e la responsabilità nei confronti dei contribuenti perché sono finanziati dallo Stato centrale. Quello che è stato fatto in Italia non è un «federalismo» ma una «devoluzione» dei poteri dello Stato a enti locali, senza nessuna esperienza di autogoverno in epoca moderna (a parte il Piemonte e la Toscana i regni preunitari non coincidevano con le regioni). Questo «federalismo all’italiana» è costato un’enormità al nostro Paese, ben al di là dei rimborsi dei consiglieri regionali. I costi delle strutture regionali sono esplosi e rappresentano oggi un parte importante e crescente dei costi dello Stato. Si sono moltiplicati i fronti della corruzione e le strutture federali sono diventate terreno fertile di quella cultura del non rispetto delle regole che ha ucciso quel po’ di liberismo che c’era in Italia. Per esempio, la regolazione dell’ambiente è in mano alle Regioni e il disastro va ormai oltre la «monnezza» di Napoli (lo testimoniano Malagrotta a Roma e l’inceneritore di Parma). I fallimenti delle Regioni sono anche nel loro ruolo di fornitori di servizi. La sanità in mano alle Regioni, oltre ai famosi «buchi», ha prodotto enormi differenze tra Nord e Sud: i cittadini del Sud Italia spesso devono migrare al Nord per avere cure decenti e spendono di tasca propria per la sanità più di quelli del Nord. Se il federalismo delle Regioni non ha senso, diverso è il caso dei Comuni. Questi sì che hanno una storia pluricentenaria, sono il vero riferimento sul territorio nel nostro Paese verso i quali i cittadini sentono un forte senso di appartenenza e hanno esperienza di governo. Ma dal 1400 il mondo è cambiato, l’urbanizzazione è irreversibile (ogni settimana la popolazione urbana mondiale aumenta di 1,3 milioni) e la rivoluzione dei trasporti e la nuova sensibilità ambientale rendono la dimensione del comune non più adeguata: non si va più a cavallo, ma in aereo e in treno e i rifiuti non vanno più in discarica ma negli inceneritori. Il ruolo delle città sul territorio è destinato a restare, ma non è detto che i Comuni dei prossimi anni siano quelli del passato. E allora quale federalismo? Responsabilizzare le Regioni con controlli e sanzioni non servirà a granché, come già detto. Peraltro eliminare tout court tutte le Regioni non è proponibile perché è ingiusto imporre ai cittadini con una buona sanità a basso costo (lombardi, toscani, ecc.) di metterla nelle mani di uno Stato che in passato non ha dato grandi prove di servizio pubblico di qualità.
Ci vuole un modello di articolazione territoriale dello Stato meno basato sui principi (il federalismo, il ruolo costituzionale delle Regioni) e più su quello che funziona in pratica.
Ciò che bisogna fare è «nazionalizzare» subito le competenze oggi in mano alle Regioni iniziando da ambiente ed energia, rafforzando e rendendo più indipendenti le authority. Dove fare gli inceneritori lo deciderà lo Stato e non il territorio. Poi sarà necessario trasferire la titolarità delle miriadi di concessioni e la proprietà pubblica delle aziende dei servizi locali dai Comuni e Regioni allo Stato, che successivamente le privatizzerà. E forse alla fine ci libereremo di tante piccole imprese che in passato sono state in mano alla criminalità per vederne nascere qualcuna grande come la francese Veolia. Il «territorio» sarebbe molto diverso da oggi, costruito probabilmente sui Comuni delle grandi città. Vanno create le aree metropolitane, introdotti coordinamenti forti a livello di macroregioni per i temi ambientali: che senso ha l’Ecopass solo a Milano se l’inquinamento proviene da auto che provengono dalla Lombardia? E la politica dei trasporti deve essere fatta a livello nazionale quando ci sono di mezzo degli aeroporti: come concepire lo sviluppo di Fiumicino e Malpensa senza trasporti ottimali dall’aeroporto al centro città?
Anche per la sanità ci vuole un percorso in cui lo Stato recuperi la leadership nel definire gli standard nazionali («livelli minimi di assistenza» e costi) più efficacemente di quanto fatto sinora e commissari le Regioni che sono sotto gli standard. E il commissario deve essere lo Stato, non il presidente della Regione commissariata, come avviene oggi. La Regione che non raggiunge gli standard verrebbe «espropriata» dei suoi poteri, fino allo scioglimento dell’assemblea regionale e il subentro dello Stato in tutte le sue funzioni... La fine del federalismo quindi? No, perché il federalismo vero in Italia non è mai nato, e gli italiani dovrebbero cominciare a occuparsi del federalismo in Europa.

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