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Ripensare la politica, di C. Galli

Creato il 10 dicembre 2011 da Tiba84
Ripensare la politica, di C. GalliIn questa fase la politica passa attraverso la capacità tecnico-economica di agire efficacemente all´interno, e di convincere le istanze internazionali che una discontinuità di metodo e di fermezza si è manifestata nel nostro Paese. Quasi tutta la politica sta nel governo, quindi, e i partiti – con significative eccezioni populistiche – sono costretti a seguirlo, e a limitare il proprio ruolo a rappresentare gli interessi immediati della loro base elettorale, subordinandoli all'interesse nazionale che esige assolutamente di essere soddisfatto: l´interesse del Paese a non fallire, prima finanziariamente e poi socialmente e politicamente.
 Oggi il dato fondamentale è che Berlusconi non è più il dominus della politica italiana. E che l'opzione populistica, la strategia della finzione, l'occultamento della realtà, sono stati smascherati come i veri responsabili della gravità della crisi e del crollo della credibilità internazionale del Paese. Lo ha affermato il capo dello Stato, lo ha ribadito il premier, la cui presenza al salotto di Vespa – l'agorà dell´Italia contemporanea – è stata la sconsacrazione di un uomo, di un´epoca, di un progetto politico, proprio là dove si erano affermati: sotto la luce di quegli stessi riflettori, un tempo aureola mediatico-populistica del Grande Seduttore.
Nella fine della bolla berlusconiana si è inserito il Pd; certo, non per forza propria ma portato dagli eventi, dalla dura necessità. La sinistra – il centrosinistra – è dentro il potere, dove esalta la propria vocazione a salvare la patria in pericolo. In questo farsi carico delle ragioni dell´universale il Pd trova la ragione del proprio attuale vantaggio strategico in quanto “partito della responsabilità”. Ma qui stanno anche le ragioni della debolezza tattica del Pd, costretto – con margini di negoziazione rispetto al governo non nulli ma esigui – a sopportare il peso della manovra davanti all´opinione pubblica e al proprio elettorato.
Invece, il Pdl si adegua obtorto collo al governo Monti e manifesta la propria insoddisfazione (e coltiva quella della sua “gente”) ponendo veti, lanciando diktat, minacciando ultimatum. Soprattutto, solleva la “questione democratica” per delegittimare l´attuale governo il quale, in quanto non “eletto”, non avrebbe diritto di fare un passo oltre l´emergenza. Tesi che rilancia la sciagurata deriva populistica che vuole legare in un patto originario il governo e il popolo, saltando il parlamento e la sua mediazione rappresentativa.
Ora sta proprio qui il problema della politica dopo l´emergenza: nel capire quali sono gli orizzonti, gli scenari, le offerte politiche dei partiti. Se da destra vengono per ora una scommessa contro l´Italia (la Lega) e una riproposta di demagogia (dal Pdl), dal centro e dal mondo cattolico viene invece l´idea che si debba polemizzare contro l´interpretazione populistico-plebiscitaria della democrazia e della sovranità popolare – asse strategico della politica di Berlusconi, e principale causa interna della nostra crisi – , che si debba contrapporvi una interpretazione corporata della politica, che preveda l´esistenza di un Bene comune oggettivo, a prevalente contenuto economico, che si debba ipotizzare che la preparazione tecnica sia il criterio ultimo dell´autorità, e che il consenso del popolo debba coronare questo nucleo duro della politica. Questa ipotesi di ricomposizione “neoguelfa” unisce tradizione, interessi, valori, rifondazione antropologica, in una visione tanto moderata quanto efficiente. Una sorta di prosecuzione, anche nella normalità, della prevalenza dell´interesse comune che emerge oggi nell´eccezionalità; una prevalenza che non si vuole più ‘tecnica´ ma che si afferma come progetto politico.
Ma da parte laica e liberal-democratica, ovvero da parte del centro-sinistra e della sinistra, quali orizzonti si aprono? Quale idea dell´Italia viene messa in campo? È da questa sponda che dovrebbe venire un ventaglio di offerte, e di analisi, orientate alla consapevolezza che la normale vita democratica di una società complessa funziona attraverso la fisiologica contrapposizione di interessi, e trae alimento dal conflitto fra diverse visioni della società e dell´uomo. Nessun oggettivo Bene comune e nessuna antropologia condivisa, quindi, ma la libertà dei gruppi e degli individui, garantita da un unico punto in comune: la Costituzione repubblicana, che disegni (o ri-disegni) confini e funzionamento democratico di un pluralismo reale di poteri e di saperi, di idee, di passioni civili. Che faccia i conti con le nuove inclusioni e con le nuove esclusioni che formano e attraversano la società.
Alla vecchia demagogia anti-istituzionale, e al neoguelfismo corporato, si dovrebbe insomma affiancare una credibile prospettiva di neo-costituzionalismo come cornice di una democrazia pluralistica, umanistica e agonistica, dove la concorrenza non sia solo il buon funzionamento del mercato ma anche il confronto culturale più aperto e spregiudicato. Il dinamismo repubblicano dovrebbe essere la cifra di questa politica, quanto la demagogia lo è per la destra, e la stabilizzazione moderata per il centro. Naturalmente, si tratta di una prospettiva che vale solo se si ha la forza, il coraggio e l´orgoglio di pensare a un futuro che vada oltre alla mera sopravvivenza, a uno spazio politico che si apra oltre all´orlo del buco nero in cui ci hanno precipitato sia Berlusconi sia la cecità politica di molti.

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