È giunta ormai l’ora di fermarci a riflettere, dobbiamo farlo noi cittadini, non possiamo più delegare politici, economisti od altri burocrati nella speranza che questi risolvano i nostri problemi. Costoro badano solo ai loro problemi, ai loro affari, alla meschinità del proprio potere, a come restare a galla il più a lungo possibile. I terribili eventi giapponesi devono farci capire che la via intrapresa dall’umanità è l’autodistruzione e la morte. Il capitalismo eretto ad unica ideologia è un cancro che sta irradiando le sue metastasi su tutto il pianeta e sembra prospettare un imminente punto di non ritorno. Da oltre un secolo stiamo saccheggiando a piene mani la terra, stiamo inquinando, avvelenando noi stessi e le future generazioni, stiamo mettendo a repentaglio la vita stessa sul pianeta. Il demone del consumismo ci impone ritmi di vita assurdi per riempirci di cose inutili, per liberarci di cose ancora funzionanti e sostituirle con altre di costo maggiore e di peggiore qualità. Le nostre case sono pieni di mobili che non esauriranno il loro ciclo vitale ma che saranno sostituiti da altri di un modello più recente, più pubblicizzato, costruiti con legni che hanno fatto un paio di volte il giro del mondo, stagionato in essiccatori, spogliato della sua essenza e pressato in modo da apparire bello, di una bellezza a scadenza, funzionale e apparentemente economico. Le nostre case sono piene di elettrodomestici che divorano energia, che fingono di sostituirsi all’uomo, di liberarlo dalla fatica e dalla noia dei lavori domestici, mentre in realtà lo rendono schiavo, lo inseriscono in una spirale senza uscita. Tutto deve essere pagato, cambiato, ammodernato e questo richiede uno sforzo suppletivo (primo, secondo, terzo lavoro), attiva la logica perversa di un risparmio che diventa mercato laterale e nero. Le città risplendono di mille luci, sono vere e proprie voragini energetiche, tutta energia sprecata, tutta CO2 riversata nell’ambiente, e con il pretesto della sicurezza (quante crimini vengono commessi in nome della sicurezza) non riusciamo praticamente più a vedere il firmamento, ad ammirare una bellezza che è reale, atemporale, accecati come siamo da bruttezze che solo la logica televisiva riesce ad imporre come non plus ultra dell’estetica. Ci abbrutiamo nella bruttezza, abbiamo gli occhi e la carne di cemento e finiamo per credere che questa è la vita, come se la vita avesse come obiettivo una schiavitù globale in nome di feticci che la rendono superflua. Paradossalmente tutto deve essere artificiale, dal fiore di plastica, al seno in silicone, dal pvc che sostituisce il legno al cibo estratto dal petrolio. Tutto deve rispondere a canoni estetici mostruosi che trasformano i corpi in cadaveri ambulanti, in oggetti di scambio, in caricature di esseri umani.
In una delle tante dirette televisive dal Giappone (sta crescendo l’attesa mediatica per l’esplosione, un misto di sadismo, masochismo e follia si è impossessato dei teledipendenti di mezzo mondo) un tecnico (almeno così mi sembra di ricordare) ha ribadito che il nucleare è per il Giappone ormai irrinunciabile. E lo diceva con un’ombra di fatalismo, tristezza e angoscia che ne oscurava le parole. La stessa ombra di fatalismo, tristezza e angoscia che ho visto sui volti di alcuni tossicodipendenti. Una rassegnazione all’autodistruzione che deve portarci a ripensare la vita, il modello di sviluppo, a trattare il capitalismo per quello che è: un’ideologia assolutistica che rispetta solo il denaro e disprezza l’uomo.