Originariamente avevo pensato d’intitolare questo post “riproviamo il colloquio”. Ma per colloquiare bisogna essere almeno in due e qui – parlando del tema della secessione o dell’indipendenza del Sudtirolo dall’Italia che tanto scalda i cuori di alcuni miei conoscenti – devo dire che da tempo faccio fatica a trovare interlocutori degni di questo nome. Difetto che in ogni caso non sconto in solitudine. Anche chi apparentemente ha allestito piattaforme per discutere pubblicamente di questo tema, in realtà, coltiva più che altro il soliloquio: chiunque si azzarda a non recitare una parte stabilita dal solito copione viene emarginato senza troppi complimenti a furia di pollici versi oppure grazie all’esercizio di una insindacabile censura (dunque ribadiamolo: è solamente a causa di questa censura che io sono costretto a parlare qui come se fossi inserito in un colloquio che di fatto è impossibile perché a priori negato proprio dai fautori del colloquio!).
Siccome però il tema continua a rivestire una certa (ancorché ripetitiva) attrazione – ed è comunque al centro del discorso pubblico locale - ho deciso stavolta di non rassegnarmi e di assumere l’intervento di un partecipante a questa discussione come base per un ipotetico (se rimarrà tale) dialogo (ma sono ovviamente pronto a ribattere nel caso qualcuno dovesse commentare questo articolo). Intanto, se avete avuto la pazienza di leggervi quanto appena linkato, il passaggio che mi appresto a commentare è questo:
…sag mir doch bitte worin sich der wunsch nach loslösung von einer “fremden nation” von dem der beibehaltung der “eigenen nation” unterscheidet???
La tesi (immanente alla domanda) è apparentemente chiara: l’autore della citazione (si tratta un fautore dell’indipendenza del Sudtirolo) equipara la posizione di chi desidera la secessione da uno Stato avvertito come “straniero” alla posizione di chi invece vorrebbe conservare lo status quo (e dunque negare il diritto di secessione a una minoranza che si sente incapsulata in quello Stato). Il denominatore comune delle due posizioni – l’obiettivo polemico è rivestito nello specifico dai Verdi locali, giudicati incapaci di assumere un punto di vista critico nei confronti del nazionalismo italiano – sarebbe il presupposto “nazionalistico” (di marca italiana, nel primo caso, di marca “tedesca”, nel secondo) che, questo il ragionamento conclusivo, può essere di fatto superato SE E SOLO SE le due componenti nazionali fossero disposte a ridurre le proprie pretese e – ecco il passaggio chiave – a cooperare in vista della creazione di una NUOVA ENTITÀ STATUALE avvertita da tutti i suoi abitanti come qualcosa di profondamente diverso rispetto alle matrici nazionali finora considerate come eminentemente rilevanti per la narrazione identitaria degli uni e degli altri. Si tratta, come si vede, del nucleo centrale della filosofia del sito in questione e chi scrive ne conosce ovviamente in dettaglio pregi e difetti.
Siccome sui pregi di questa “visione” ho già scritto in abbondanza (quando ero co-redattore di quel sito o anche come semplice esegeta), mi concentrerò adesso nuovamente sui difetti (anche questo l’ho già fatto abbondantemente, ma evidentemente con argomenti insufficienti).
La domanda da porre è: come dobbiamo immaginarci il PERCORSO necessario a far dimagrire l’autointerpretazione identitaria di quei gruppi secondo le logiche nazionalistiche consuete e dare così vita a quel nuovo sentimento di coappartenenza (Zusammengehörigkeit) indispensabile per fondare una statualità alternativa (post-etnica e post-”nazionale”?).
Il difetto principale del sito in questione è quello di dare per scontato che un tale processo sia semplicemente in fieri solo per il fatto di essere pensato (chiamiamolo difetto di natura idealistica). Difetto per giunta aggravato dalla presupposizione che siano alla fine gli italiani quelli bisognosi di compiere un maggiore sforzo in tal senso in quanto, di fatto, l’unica “nazione” che risulta sussistente è quella italiana.
Ma consideriamo per il momento il quesito che tanto preme a quel secessionista come retorico (e dunque diamogli pure una risposta affermativa: sì, la differenza tra le due posizioni SEMBRA minima e solo ponendo in questione il nazionalismo su ENTRAMBI i fronti è possibile davvero SUPERARE il nazionalismo), le domande da fare sono due:
1. Esistono (a parte i volenterosi “teorici” di BBD) qui dei “tedeschi” attualmente operosi nei confronti di una credibile decostruzione dei loro presupposti nazionalistici? Detto altrimenti: esiste all’interno della società sudtirolese di lingua tedesca un tangibile movimento di pensiero in base al quale l’ipotesi di uno Stato autonomo sudtirolese si configurerebbe come felicemente incline a valorizzare le diversità AL DI LÀ delle consuete rivendicazioni riguardanti le identità culturali sussistenti anche – e direi soprattutto – nei termini di una revisione o un ammorbidimento (ma ci sono pure quelli che sognando o agognando lo status di nuova “minoranza” s’immaginano chissá quali privilegi…) preventivo dei loro nuovi rapporti di forza?
2. Esistono (a parte il volenteroso Fabio Rigali, l’unico sudtirolese di lingua italiana che allo stato attuale caldeggia la creazione di uno Stato indipendente) qui degli “italiani” disposti ad avallare il progetto di una secessione che sancirebbe una radicale riformulazione dei propri paradigmi identitari secondo un modello di appartenenza che – almeno alla luce dei materiali sociali e culturali disponibili – non risulterebbe determinato da loro ma dagli “altri”?
Una volta, discutendo con Richard Theiner (l’Obmann della Svp che caldeggia un’autonomia INTEGRALE e anche lui, come ormai un po’ tutti, chiede il sostegno degli “italiani”), ho avuto modo di esprimermi così: gli “italiani” sarebbero probabilmente sensibili e persino lieti – chissà – ad avallare il progetto di una maggiore autonomia territoriale (e dunque magari anche quello di una indipendenza secondo il modello di BBD) SE E SOLO SE avessero la garanzia di poter vivere in un Sudtirolo dominato dai ”tedeschi” MENO di quanto lo è adesso con l’autonomia vigente (autonomia che infatti molti di loro accettano ancora a fatica). Se potessero per esempio avere la sensazione di poter “sentire” questa terra come veramente loro, se potessero già adesso fare carriera nei partiti che contano e decidono, se potessero già esprimere una classe dirigente in grado di guidare questa provincia…
Ovviamente si conosce la risposta di BBD: ma solo nella nuova nuova cornice istituzionale (Sudtirolo indipendente) sparirebbero per incanto le differenze legate alle precedenti appartenenze nazionali e tutti (TUTTI) si considererebbero felicemente sudtirolesi! Solo in questa nuova cornice istituzionale verrebbero cancellate le ipoteche del passato e libereremmo lo sguardo verso un comune e radioso futuro di “sudtirolesi indivisi”. E ancora più ovviamente, si tratta adesso del corollario che costituisce anche la risposta alla domanda retorica lasciata prima in sospeso, questa nuova entità statuale non dovrebbe essere considerata una “nazione” solo perché alla fine “nazione” è solo una brutta parola e possiamo tutti insieme decidere di non chiamare così quello che poi penseremo a chiamare in modo più acconcio, magari Stato Libero qualcosa o Repubblica Indipendente qualcos’altro (argomento che assomiglia molto a questo: se un giorno ti ammalassi di “cancro” non chiamarlo così, chiamalo “raffreddore”, e vedrai che ti passa con un’Aspirina).






