Magazine Racconti

Ripuliamo il disco rigido della società

Da Flavialtomonte

Sono stati molti i giorni in cui ho tentato di comporre discorsi scritti che contenessero un senso, di per sé, logico, ma è con il tempo che mi accorgo e mi convinco che il mio modo di raccontare è sempre più illogico e assurdo. Per Beckett è un pregio, per me no: vent’un anni, una carriera universitaria sulle spalle e vari tentativi comunicativi sul come dovrebbe funzionare “secondo me” il mondo. Tentativi falliti, nella maggior parte dei casi. Nella minoranza dei casi sono stati ascoltati da terzi che in seguito a venti minuti di silenzio e meditazione, complimenti e congraturazioni, mi hanno esposto preziosi consigli – mai seguiti – sul come fare per realizzarli. Qui, nessuno ha certezze. Le soluzioni per i tuoi obiettivi sono i mezzi pratici tanto amati dagli americani. Ad ogni modo, i motivi si accavallano e, se capita, si sbizzarriscono e si imbestialiscono ma non te lo vengono di certo a dire, anche loro, amano i mezzi pratici.
In pratica, scrivo l’inscrivibile e l’indicibile, quelle storie che nessuno si metterebbe a leggere ad alta voce, solo un pazzo. Consìderati pazzo!
Eppure non dovrebbe essere da pazzi. Sono state scritte molte gorbellerie nella storia, nelle riviste, nei notiziari, nella televisione e nella rete, che è veramente difficile distinguere la verità. Il mondo necessita di una ripulita del disco rigido, quel disco pieno di dogmi e pregiudizi, rigidi, intatti, incancellabili.

Era molto bello quando alle scuole elementari si usava la penna cancellabile con la gommina sul tappo in caso di errori. Alle superiori non è più ammesso sbagliare, e se accade occorre sporcarsi le mani e poi correre in bagno a strofinarsi le dita per levar via quella calce maleodorante. Fino a quando non sbagli più. Sì, sempre secondo te. In realtà sbagli, eccome, forse anche di più di quando avevi in mano una cancellabile, quella piccola possibilità di recupero. Il recupero, alle superiori lo riservano ad altri, in realtà tutti avremmo bisogno di un recupero, rallentato. Si può sbagliare anche senza penna, anche con un pennarello, e in quel caso è sempre più difficile cancellare.
Ma torniamo a noi. Torniamo al mio strano modo di scrivere che non si direbbe elementare, né tanto meno professionale, è un intermezzo con parole intere e propriamente esposte. Dovete guardar le dita come corrono, come si accavallano e si scollano da ogni tasto, tanto che mai succede che i tasti abbiano strati di polvere difficile da togliere, i tasti son sempre puliti e sempre coperti dai miei polpastrelli, tanto che la polvere fatica, fatica a rivestirli, son sempre io a vestirli.

Ci si accorge di scrivere assurdità quando le regole della scrittura ti consigliano di scrivere ogni giorno, anche senza ispirazione (ché poi quella viene, c.v.d.) e ti alzi – effettivamente – dalla sedia, un’ora dopo con un poema infinito che neanche Dante in un solo giorno. Ora capisco, gli scrittori di una volta e lo sviluppo dell’artigianato, la deforestazione, l’intaglio. C’era molto più tempo allora che adesso. C’erano meno distrazioni un tempo di adesso.
Se scrivo così a lungo è perché ho imparato a privarmi delle banali distrazioni che la società oggi offre, scatenanti la meraviglia dei più piccoli. Le meraviglie di un tempo erano altre, erano il mare, la montagna, il verde, e tutti i colori dell’arcobaleno, era l’archeologia, i monumenti, i musei e le fessure delle porte – quelle poi – erano altri tempi. Oggi chi penserebbe mai di perder tempo su una tavola da disegno, di dedicarsi al decoupage, alla costruzione di un cestino con le ruote, di una fionda, e forse sì, qualcuno ancora nel mondo è proprio di questo che vive e guadagna, ma il resto del mondo, ha le dita troppo occupate sul mini schermo degli aifon e delle tavolette digitali, per mettere la testa fuori e guardare, osservare, scrutare, scoprire, accorgersi che piove e che è bello – piuttosto che lamentarsi di questo su un canale qualsiasi con, a seguire, gli apprezzamenti degli altri utenti – utenti, già, chissà se la conosciamo davvero l’etimologia del termine. Utente è un utilizzatore. Utente è chi utilizza un programma, un sistema o un servizio. È il “come” che lo frega. Io li chiamerei “udenti” se solo comprendessero veramente ciò che fanno, se fossero coscienti nell’operto, se non ne fossero così sopraffatti.

Anche io, potrei essere chiamata in causa per il semplice fatto di stare usando un mezzo di comunicazione, quale il blog, che ad ogni modo è comune a molti utenti e spinge a scrivere. Ma, al contrario, non scrivo di come trascorro le giornate, di cosa faccio nella vita, di come sono, inverto l’orizzonte di aspettative e scrivo per assurdo. I miei racconti non partono da fuori, la molla che mi spinge a scrivere è sempre interiore. Punto e virgola. Non è di me che voglio parlare ma, per esempio, di quella bambina in macchina, al lato guida, con la mamma che gesticola e dirige un discorso serio, di quelli rimproverativi, e la bambina con un paio di cuffie alle orecchie e le dita impegnate a digitare innumerevoli tasti sul cellulare. Udenti? No, sordi del tutto! O di quel bambino che saltella su se stesso per guardare cosa i ragazzi di fronte a lui stanno guardando sul mini schermo, e ancora tanti e tanti esempi di come la generazione stia degenerando. Questo è l’assurdo. Questi sono gli argomenti assurdi, che a confronto, il mio modo di esporre è logico.
E comunque oggi gli americani, hanno buttato un’altra notizia, direttamente dalla Nasa: tempesta solare, radiazioni sensibili al caldo pronti a causare disastri ambientali, black out, mezzi di comunicazione in pericolo, tutti al buio.
Dicevo, occorre una ripulita.


Ritornare alla prima pagina di Logo Paperblog

Magazines