L’appello di un uomo affetto da HIV, epatiti C e B ed emofilia che non ha accesso ai farmaci
«Sono stanco, sono molto stanco. Ho 49 anni, è da quando sono nato che combatto per sopravvivere». Così un uomo, un italiano, racconta la sua vita segnata dall’emofilia, una malattia rara che, per l’assenza del fattore VIII nel sangue, non permette ad esso di coagulare e gli ha impedito fin da bambino di correre o compiere sport. Le articolazioni sono soggette, infatti, ad emorragie che tendono a danneggiare la cartilagine determinando negli anni la comparsa di artropatia cronica.
La speranza si accende all’età di 13 anni quando la medicina scopre il modo di sopperire alla mancanza del fattore VIII: estraendolo dal sangue dei donatori si riusciva a riprodurlo. A causa di queste trasfusioni, nel 1984 viene a sapere, però, di aver contratto l’HIV e nel 1992 le epatiti C e B. «Non avevamo fatto i conti con le case farmaceutiche che non controllavano i donatori».
La coinfezione (la combinazione delle tre patologie) gli impedisce di fare i trattamenti che possono curare i monoinfetti. «L’epatite C colpisce il fegato, io non potrò mai subire un trapianto per il problema della coagulazione. Oggi c’è l’Interferone ma io non posso farlo perché incide sull’emofilia e, avendo il Genotipo 1, ha scarse possibilità di efficacia».
Nel 2014 si scoprono i farmaci che guariscono dall’epatite C senza effetti collaterali: sembra arrivata la soluzione ma l’uomo non rientra tra i criteri stabiliti dall’Agenzia Italiana del Farmaco. I parametri per accedere alla nuova terapia sono Fibroscan da F4 (un grado di progressione del danno epatico in forma gravissima) e, quindi, fegato in cirrosi. «Chi come me è riuscito a mantenere parametri borderline non può usare il farmaco».
La decisione è così rimessa nelle mani dei medici «che nel mio caso sono preoccupati: se il mio fegato peggiora, il farmaco potrebbe fare poco. Essendo emofilico se si verificasse un emorragia sarebbe una cosa molto pericolosa».
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