Quando non c’erano i freezer il tartufo si conservava nel riso.
Si riponeva intero, lavato e asciugato alla perfezione in un vasetto a tenuta ermetica, di quelli con la gomma intorno all’apertura e la chiusura col gancio di metallo.
Si copriva di riso e si toglieva per affettarne un po’ sull’uovo al tegamino o sulle tagliatelle e poi si riponeva fino a quando non serviva un’altra volta.
Quando il tartufo finiva, col riso in cui era stato conservato si faceva un risotto squisito e profumato.
Nonostante del tartufo in genere non rimanessero che dei pezzetti di scorza, si grattugiavano e si miscelavano al parmigiano.
Il profumo intenso e inconfondibile del tartufo aveva ormai impregnato tutto il riso contenuto del vaso, quindi era sufficiente preparare un semplice risotto bianco e mantecarlo alla fine con un bel pezzetto di burro e il parmigiano al tartufo.
Anche se non è il modo corretto di cucinare il risotto, questo a casa nostra è diventato “il modo”.
Ne ho già parlato, ma faccio un rapido riassunto.
Misuro il riso che mi serve e metto in una pentola il doppio del suo volume di brodo.
Quando arriva a bollore verso il riso a pioggia, scuoto la pentola, abbasso il fuoco e faccio cuocere semi coperto finché tutto il liquido non è stato assorbito, senza mai mescolare.
Questo coincide di solito con la perfetta cottura del riso.
Fuori dal fuoco aggiungo il burro e abbondante parmigiano.
A questo punto in genere completo con un sugo o una salsa che ho già preparato a parte anche il giorno prima.
Nel caso del riso profumato al tartufo, è sufficiente mantecarlo con il burro e il mix di parmigiano e tartufo grattugiati e servirlo subito.
Tutto qua, ma complice l’aroma che è stato assorbito e quindi restituito, ne esce un risotto memorabile.
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