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Risotto al sidro, con fichi e pancetta di cinta croccante: la saggezza del fico.
Da Andantecongusto @AndantecongustoI fichi sono un'altra delle mie macchine del tempo.
Nella tenuta dove sono cresciuta a due passi da Siena, Settembre era un mese costellato da infinite attività.
L'estate terminava con lunghe passeggiate lungo le siepi di rovo che popolavano il viale di cipressi secolari e si immettevano nel bosco.
Si raccoglievano le more.
Mia madre riempiva cestini di vimini, io e mia sorella le nostre bocche di bambine cresciute senza conoscere il significato della parola "merendina".
More grandi come chicchi d'uva, succose e spesso arse dal sole, il che non era certo una benedizione per i nostri giovani intestini.
Ogni tanto scappavamo inseguite da serpenti frustoni, disturbati dal nostro pesticciare nell'erba alta, e non era raro imbattersi in vipere addormentate al sole, il cui ricordo ha tormentato i miei sonni in più di una notte.
Finite le more, toccava all'albero di fico più grande della fattoria.
Potevamo arrampicarci anche sui rami più alti, grazie ad un muretto che si affacciava proprio a metà altezza.
Grondava di frutta e di api festanti.
Non ricordo di aver mai mangiato fichi deliziosi come quelli...ma forse era il senso di avventura a rendere tutto assolutamente irresistibile.
Ricordo che un'estate, una delle amiche più grandi che capeggiava questi raid fruttiferi, mangiò così tanti fichi da farsi venire la febbre.
Quell'albero perse per lei ogni romanticismo.
La pianta di fichi ha costellato la mia infanzia, è stata una presenza saggia, silenziosa, nei ricordi delle vacanze trascorse al lago, così come nei racconti di mio padre bambino, che come me, si arrampicava sull'albero di fioroni come un pirata sull'albero maestro.
L'albero di fichi di mio padre cresceva in un paese che adesso non esiste più, ed il suo nome fa parte del mito della mia storia familiare: Fontefredda.
Ci sono stata, molto tempo fa, e le case abbandonate erano ormai popolate dalla vegetazione: parietaria, rovi e rigogliose piante di fico, affacciate alle finestre sgarrupate, come dame malinconiche in attesa di una serenata.
Questa ricetta ha quasi un anno e non ho mai avuto l'occasione di pubblicarla fino ad oggi.
La potete trovare sul libro "Cucina Italiana 2.0", di Roberta D'Ancona, in cui è presente anche il mio piccolo contributo. L’idea è partita da un bicchiere di sidro e da alcuni fichi freschi appena colti. Perché non farci un bel risotto? Il riso è molto versatile e decisamente buono con la frutta, dalle fragole ai mirtilli e pure con il melone.
Anche qui un assaggio della mia terra, con questa pancetta di Cinta Senese, che diventa bella croccante e regala un perfetto contrasto sapido alla delicatezza dei fichi e all’acida dolcezza del sidro. Ingredienti per 4 persone330 gr di riso Carnaroli1 piccola cipolla4 fichi freschi100 gr di pancetta di Cinta Senese tagliata sottile50 gr di Pecorino di Pienza grattugiatomezzo bicchiere di sidroOlio Extra vergine d’olivaBrodo vegetale Tagliate finemente la cipolla e fatela rosolare in una casseruola antiaderente, in 3 cucchiai di olio. Quando la cipolla è dorata, versate il riso e fatelo brillare qualche istante mescolando continuamente. Alzate la fiamma quindi versate il sidro e continuate a mescolare fino a che non sarà evaporato. Cominciate la cottura aggiungendo il brodo vegetale con un mestolo e mescolate di tanto in tanto.Allo stesso tempo, su una piastra antiaderente, fate cuocere la pancetta senza altri grassi, fino a che non sia bella croccante. Toglietela e ponetela su carta assorbente, tamponando l’unto in eccesso. A metà cottura aggiungete 1/3 della pancetta sbriciolata ed i fichi sbucciati e ridotti a pezzettini. Continuate la cottura mescolando ed aggiungendo il brodo quando necessario. Quando il risotto sarà all’onda, toglietelo dal fuoco ed mantecatelo con il pecorino ed un filo di olio extra vergine. Impiattatelo e cospargete sulla superficie la pancetta sbriciolata e croccante. Servite subito. Accompagnatelo da un bel bicchiere di sidro freddo.
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