«Boh. Questa teoria del comportamento umano non mi convince. Sarà che non ho manco la più pallida idea dell'umore che avrò domattina, figuriamoci se so quali comportamenti avrò con gli altri nelle interazioni; e il pensiero che possa saperlo qualcun altro, quando non lo so nemmeno io, ha un che di demenziale». Silver Silvan
L’osservazione di questa mia lettrice (a me del tutto sconosciuta) merita una risposta più ampia di quella che potrei dare in un sintetico commento, in quanto mi sollecita a puntualizzare alcuni aspetti della mia teoria o etoanalisi. Anzitutto, Silver, ci tengo a precisare che non si tratti di una “teoria del comportamento umano”, bensì di una “teoria del comportamento interattivo”, e l’accento va posto più sull’“aggettivo” che sul “sostantivo”. Certo il fatto che anche gli esseri umani abbiano un comportamento ne consegue che la cosa li riguardi, ma nello stesso modo in cui può riguardare un qualsiasi altro “agente” che viene percepito come un’unità (un gruppo, una nazione, un’impresa, un partito politico, ecc.). In secondo luogo, volendo restringere il campo ai rapporti interumani, il fatto di non sapere, anche in base al cosiddetto “umore”, quale comportamento si ha quando si interagisce con l’altro, non vuol dire che “non si ha un comportamento”. Da un lato non vorrei dare l’idea che ogniqualvolta un essere umano interagisce con un altro essere umano stia sempre lì a calcolare gli effetti del suo comportamento. Quando lo fa, lo fa per uno scopo preciso: ossia quando vuole far “prevalere” il proprio Sé sul quello altrui. E ciò non sempre accade. Quando accade vuol dire che i rispettivi sé stanno interagendo nella stessa sfera di interessi: ad esempio, se a qualcuno non interessa l’ambito scientifico è difficile che voglia prevalere su un “altro”. La competizione insomma non ha senso. Poi, abbiamo altri casi a cui mira il comportamento interattivo: far emergere rapporti inattesi laddove prima non esistevano (e qui mi sovviene ricordare tutti gli eventuali rapporti sentimentali o affettivi). Insomma, voglio dire ogni essere umano (volendo restringere il campo interattivo) è un intreccio di relazioni, e in ogni relazione interagisce con l’altro (con lo sconosciuto, il vicino di casa, i propri familiari, i propri amici, colleghi di lavoro, e così via); e ogni relazione è costituita da un limite che i rispettivi agenti sono tenuti a rispettare. Ma il limite non è una linea fissa, immobile, bensì è una linea che può essere, all’interno di una sequenza interattiva di eventi, di volta in volta ignorata (quando si vuole prevaricare sull’altro), modificata o addirittura elusa. Allora Silver rifletti un attimo sulla tua cerchia di relazione (passata e presente) e pensa per un attimo a come nel corso degli anni ogni relazione sia nata, si sia modificata o si sia interrotta. A me non interessa porre l’accento sulla “motivazione” o “giustificazione” che ha portato a quella o a quell’altra situazione, ciò che a me interessa è soltanto la modalità attraverso la quale tale situazione si è determinata.
Io non credo che capire come il nostro Sé interagisca con un altro sé quando entrano in contatto sia un’analisi “demenziale”: non faccio oroscopi per prevedere il futuro delle persone, tuttavia conoscendo quale modalità l’agente Y mette in atto quando entra in contatto con l’agente X, posso “prevedere” (nei limiti del possibile) come potrà evolversi la loro relazione. Cioè non è sulla “persona” che faccio previsioni, bensì sulla “relazione” tra due agenti. È importante sapere in anticipo come si evolverà una relazione tra due agenti qualsiasi? Per me lo è, ed è per questo motivo che sto elaborando una teoria che tratti questo ambito. Per me è importante sapere come comunichi il Sé, anche perché mi sono reso conto che tante incomprensioni, rancori, malintesi, contrasti, ecc. nascono spesso proprio dal fatto di non sapere come un agente comunica all’interno di una relazione. E come se qualcuno mi chiedesse: serve a parlare e a comunicare in modo corretto e articolato? Io rispondo di sì, perché ciò aiuta a capirsi e a comprendersi meglio, a saldare meglio i propri legami e a sciogliere quelli nocivi. Allora, perché non pensare che anche il comportamento interattivo abbia una sua grammatica, quindi una sua semantica e una sua sintassi? È inutile conoscerla, non ci aiuta a vivere meglio i rapporti con gli altri? Non aiuterebbe anche i governi, i partiti, le nazioni, le imprese, i gruppi sociali, le famiglie ad interagire meglio? In fondo la mia idea è tutto ciò possa comportare un’eliminazione graduale dei rapporti di forza all’interno di una qualsiasi relazione. Quando appunto si arriva alla concezione che tutto è il prodotto di reciprocità, credo che l’umanità avrà fatto un grande passo avanti. Ma questa è una mia personale utopia. Ma si vive anche di utopie!
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