Sugli interventi di restauro e recupero di edifici vincolati come beni culturali, la competenza rimane ai (soli) architetti. A stabilirlo è la sentenza del TAR Veneto n. 753/2014, che si è pronunciata su un ricorso contro l’affidamento a un ingegnere della progettazione preliminare, definitiva ed esecutiva, e della direzione lavori di un edificio storico.
Tra i motivi del ricorso contro l’aggiudicazione allo studio di ingegneria della gara, i ricorrenti contestavano il fatto che l’ingegnere dichiarato vincitore della gara non fosse stato escluso in considerazione del fatto che l’edificio oggetto della procedura in questione era stato indicato negli atti di gara quale bene culturale, collocato in un contesto vincolato sul piano paesaggistico e quindi, in contrasto con le disposizioni del regio decreto n. 2537/1925 (art. 52, comma 2).
Ricordiamo infatti che, in base a quanto stabilito nella normativa, il comma 2 specificava che “le opere di edilizia civile che presentano rilevante carattere artistico ed il restauro e il ripristino di tali edifici, sono di spettanza della professione di architetto; ma la parte tecnica ne può essere compiuta tanto dall’architetto quanto dall’ingegnere”.
Il nocciolo della questione oggetto della decisione dei giudici è stata dunque quella di verificare la legittimità di decisioni amministrative dirette ad ammettere (o ad escludere) professionisti appartenenti alla categoria degli ingegneri dal conferimento di incarichi relativi alla progettazione e direzione lavori da eseguirsi su immobili di interesse storico-artistico.
I giudici amministrativi della sezione di Venezia del TAR hanno richiamato la questione della “compatibilità comunitaria della disciplina normativa italiana che riserva ai soli architetti le prestazioni principali sugli immobili di interesse culturale”.
La questione, hanno ricordato i giudici del TAR Veneto è stata definitivamente risolta dal Consiglio di Stato; il quale aveva chiesto direttamente l’intervento della Corte di Giustizia europea.
La Corte di Giustizia ha definito la questione con sentenza del 21 febbraio 2013 nella quale ha precisato che persone in possesso di un titolo di studio rilasciato da uno Stato membro diverso da quello ospitante possono svolgere, in questo Stato, attività riguardanti immobili di interesse artistico solamente qualora dimostrino, eventualmente nell’ambito di una specifica verifica della loro idoneità professionale, di possedere qualifiche nel settore dei beni culturali.
Facendo proprie le considerazioni dell’Alta Corte europea, i giudici di Palazzo Spada sono arrivati alla conclusione “che non è esatto affermare che l’ordinamento comunitario riconosca a tutti gli ingegneri di Paesi dell’UE diversi dall’Italia (con esclusione dei soli ingegneri italiani) l’indiscriminato esercizio delle attività tipiche della professione di architetto (tra cui le attività relative ad immobili di interesse storico-artistico), ma, al contrario, giusta la normativa comunitaria, l’esercizio di tali attività – in regime di mutuo riconoscimento – sarà consentito ai soli professionisti che (al di là del nomen iuris del titolo posseduto) possano vantare un percorso formativo adeguatamente finalizzato all’esercizio delle attività tipiche della professione di architetto”.
I giudici del TAR Venezia hanno fatto proprie le considerazioni del Consiglio di Stato, ritenendo dunque non idoneo all’affidamento dell’incarico lo studio di ingegneria risultato vincitore della gara.