Costruire nel costruito, ovvero effettuare interventi di ristrutturazione edilizia mediante demolizione e ricostruzione è un tema attuale sia per la vetustà degli edifici che per migliorare le condizioni di vita dei residenti, ma anche per il recupero di suolo residenziale nelle nostre città.
Gli interventi di ristrutturazione edilizia secondo il comma 1, lettera d), articolo 3 del Testo unico per l’edilizia, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 6 giugno 2001, n. 380, sono definiti: interventi rivolti a trasformare gli organismi edilizi mediante un insieme sistematico di opere che possono portare ad un organismo edilizio in tutto o in parte diverso dal precedente.
Tali interventi comprendono il ripristino o la sostituzione di alcuni elementi costitutivi dell’edificio, l’eliminazione, la modifica e l’inserimento di nuovi elementi ed impianti.
Nell’ambito degli interventi di ristrutturazione edilizia sono ricompresi anche quelli consistenti nella demolizione e ricostruzione con la stessa volumetria di quello preesistente, fatte salve le sole innovazioni necessarie per l’adeguamento alla normativa antisismica nonché quelli volti al ripristino di edifici, o parti di essi, eventualmente crollati o demoliti, attraverso la loro ricostruzione, purché sia possibile accertarne la preesistente consistenza.
Rimane fermo che, con riferimento agli immobili sottoposti a vincoli ai sensi del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42 e successive modificazioni, gli interventi di demolizione e ricostruzione e gli interventi di ripristino di edifici crollati o demoliti costituiscono interventi di ristrutturazione edilizia soltanto ove sia rispettata la medesima sagoma dell’edificio preesistente.
Secondo la costante giurisprudenza e, da ultimo, il Tribunale Amministrativo della Regione Toscana, con la sentenza del 23 aprile 2014, n. 654, ritiene che gli interventi di ristrutturazione edilizia, ma anche di demolizione e di successiva ricostruzione, presuppongono sempre che i relativi lavori siano riferiti ad un edificio esistente. A tal fine è totalmente priva di utilità la prova della preesistenza dello stesso, in questo caso non in discussione, essendo necessaria la sua fisica esistenza al momento dell’intervento richiesto.
E in tal senso un edificio si può definire esistente in quanto “esista un organismo edilizio, seppur non necessariamente abitato o abitabile, connotato nei suoi connotati essenziali, dotato di mura perimetrali, strutture orizzontali e copertura in stato di conservazione tale da consentire la sua fedele ricostruzione” (Consiglio di Stato, Sezione V, 10 febbraio 2004, n. 475).
Non possono invece ammettersi siffatti interventi nei confronti di ruderi o resti di edifici da tempo demoliti, attesa la mancanza di elementi sufficienti a testimoniare le dimensioni e le caratteristiche dell’edificio da recuperare (Consiglio di Stato, Sezione IV, 15 settembre 2006, n. 5375). In quest’evenienza, invero, si configura un intervento di nuova costruzione, assoggettato ai limiti stabiliti dalla vigente disciplina urbanistica (Tribunale Amministrativo della Regione Veneto, Sezione II, 5 giugno 2008, n. 1667).
La giurisprudenza amministrativa ha, altresì, affermato che la ristrutturazione edilizia di un edificio, ma anche la più incisiva forma di recupero consistente nella totale demolizione dello stesso per la sua successiva ricostruzione, sono ammissibili nei limiti dello stato fisionomico attuale del fabbricato senza alcuna possibilità di recupero di parti strutturali che, anche se originariamente esistenti, sono successivamente venute meno per qualsiasi evenienza. In altri termini, tramite detti interventi, non è possibile recuperare strutture e volumi che non siano attualmente presenti. (Tribunale Amministrativo del Trentino-Alto Adige, sede di Trento, Sezione I, 8 gennaio 2009, n. 3).