. cosa nostra
per la sovraintendenza del paese
qual dente del giudizio, si fa largo,
incuccia sanguisuga e trama ragne
maligni a bisbigliar anch’al senato
sì contro lì non sai chi hai accanto
se valigia a doppio fondo è lo stato
che su gl’onesti com’aiuol calpesta
e vuol uno ci finisca, e sette n’esca
dentro, mai, a vita hanno lo sconto
di pena, non li ammali depressione:
cosa nostra altrimenti è guarigione
*
. la torta
coi tuorli ‘n polvere made in cina
e la vaniglina, che vien dal petrolio,
la torta pare averci un bello aspetto
quale ha chi si lampada all’inverno
mai un verme le ciliegie o ‘n difetto
come ‘na razza scelta d’altre meglio
che si tenta con gl’ovuli ‘n provetta
la panna, poi, ricorda un po’ la neve
‘n città avanti ogni cosa abbia ‘l via
e, ciascuno, con il sangue del vicino
annunci ‘l dì, sua nuova altra bugia
*
. acqua
a cielo basso da non rizzare ‘l collo
piove, e pur se piove, lui sa di steppa
‘sto paese, che anche l’acqua appalta,
e c’è chi a pegno dà già il suo sangue
sì ‘n nome d’un progresso maialesco
che cosche le cèntupla e nere e rosse,
a tutti ‘l dovuto, scelti i pochi, è dato
non oltre così, no, non si può andare,
è merce tutto e quota, a salvafinanza,
ma verrà ‘l dì cui a spegnere sterpéti
sputi a chieder saremo noi a i profeti
*
. parola
parola, tu, per me, abbi ‘l coraggio
lo schianto, di gridare fuori ‘n faccia
ché cautele mai troppe ne ha l’uomo
nel trar donna consenziente ostaggio
a scarpa sfondata ben oltre ogni dire
ridotta mi ha a rigagnolo a ‘n coccio
che dentro ‘l sangue cigola, ferrigno
parola, tu, per me cuci a rammendo
le schegge di questa, vita, mia, sola
come tante, e nascoste sott’al cuore
che soffoca, uovo a legno lì ‘n gola
*
. notte stellata
col trapano stando attento ai pianeti
fa buchi iddio, è per appenderci stelle
che versa a lo stampo qual cioccolata
‘n suo charlot sottopagato ex tuta blu
giù in pochi qui san alcun son doppie
e ciascun, all’altra ronza quale mosca
con cardiofrequenza e ritmo su, pulsa
e si crede a san lorenzo siano ‘l pianto
ma è polver a dar sogni a chi l’avvista,
il vecchio ‘nvece che poco e mal vede
fissa a muro ‘l van gogh del brigatista
Rita Filomeni, “Scardinare l’acqua” (LietoColle 2011. pp. 64, 13 euro)
*Rita Filomeni di origini toscane, è nata nel 1975 a Torino. Ha vissuto a Trieste, attualmente vive a Firenze. Ha contribuito all’organizzazione del Convegno di riviste letterarie “Il futuro cerca il futuro. Quali poeti, quali poetiche oggi” tenutosi presso la Fondazione il Fiore di Firenze nel 2005. Ha suggerito con “La dritta dantesca” una rilettura nella metafora della poesia della battaglia d’Anghiari, curando la realizzazione degli Atti (San Sepolcro, Grafiche Borgo 2007). Ha collaborato con il Centro di Salute Mentale presso l’ex Ospedale psichiatrico provinciale di Trieste. Ha presentato i suoi versi e tenuto lezioni presso la Scuola d’Arte Drammatica Paolo Grassi di Milano (2009, 2011) e l’Università degli Studi del Piemonte Orientale “Amedeo Avogadro” di Vercelli (2012). Nel 2010 e 2011 è ospite al 6° e 7° Festival di Poesia Civile “Città di Vercelli”. Ha pubblicato “Scardinare l’acqua” con prefazione di Guido Oldani (LietoColle 2011) e “il quarto chiodo” sulla rivista “incroci” (n. 27 gennaio-giugno 2013) accompagnato da una nota critica di Paolo Giovannetti. Sostiene la campagna per la chiusura degli Ospedali psichiatrici giudiziari «perché da troppi anni ormai nel nostro paese la verità è divenuta un rumore da allontanare, ed il coraggio il sabotatore dei nostri opachi desideri di tranquillità e bonaria sopravvivenza individuale».