Image via Wikipedia
Antiche letture dell’infanzia forniscono lo spunto a Paco Ignacio Taibo II per rivisitare il mito salgariano: le tigri della Malesia diventano così delle vittime delle multinazionali, rapaci e senza cuore, e contro di esse si ribellano. Un calembour di personaggi e fatti da maestro del feuilleton danno vita a una ardita quanto gustosa rivisitazione dell’universo avventuroso di Yanez e Sandokan!
Ritornano le Tigri della Malesia (più antimperiali che mai),
Paco Ignacio Taibo II con l’involontaria collaborazione di Emilio Salgari, Tropea
Il portoghese Yanez de Gomera e il principe malese Sandokan vedono minacciati i loro beni, le loro stesse vite e quelle dei loro amici quando subiscono l’attacco di una misteriosa forza maligna che si manifesta attraverso una nebbia verde e lascia dietro di sé una scia di cadaveri. I due vecchi pirati libertari sono allora costretti a richiamare a raccolta le Tigri della Malesia per intraprendere quella che si presenta come la più pericolosa delle loro avventure. Una vera e propria discesa agli inferi su un’imbarcazione che porta il nome di La Mentirosa. Ben presto incontreranno Friedrich Engels, il professor Moriarty, sottomarini minacciosi, società segrete cinesi, Rudyard Kipling, i postriboli della Cambogia, gli orangutan del Borneo, trafficanti di schiavi, una sopravvissuta della Comune di Parigi, fondamentalisti islamici, filologi greci, la flotta militare britannica, filosofi stoici, piante carnivore, messaggi cifrati, banchieri filippini alleati di José Marti, spie antimperialiste… Paco Ignacio Taibo II sceglie di scrivere, sotto forma di pastiche, un nuovo capitolo della saga salgariana. Un intreccio di avventura, sesso e politica, dove coesistono lo spirito ribelle e antimperialista del narratore, l’attenzione alla Storia e i grandi modelli del feuilleton ottocentesco
COMMENTI (1)
Inviato il 09 aprile a 18:00
CHIAVICA DEI PENSIERI: i deliri letterari del compagno Paco Ignacio Taibo II
<< Il libro di Taibo, quello sulle Tigri della Malesia?, se ti capita, non leggerlo… >>
Questo è il consiglio che mi sentirei di dare a chiunque mi chiedesse pareri su questo ro-manzo. Perché non ho mai letto cosa più deprimente, assurda e vergognosa su Salgari. E lo dico io che in genere mi infiammo per ogni più piccola cosa abbia anche solo la parvenza di appartenere al “mondo salgariano”.
Con la pretesa poi di attualizzare la scrittura dello scrittore veronese (secondo Taibo schiava e costretta dal bigottismo di fine ottocento), si infarcisce il tutto con bestemmie, sesso e maleparole.
il testo che l’editore recensisce come “nuovo avvincente capitolo della saga salgariana” : evidentemente ha così poco rispetto, anzi quasi disprezzo per il povero Capitan Emilio.
Eppure a me non sembra.
Dopo siffatta ricerca come si può scrivere che Sandokan è malese ed è nato a Sarawak? (mentre è bornese ed è nato nell’odierno Sabah)
Che il figlio di Yanez si chiama Soares? (mentre si chiama Soarez)
Che il marito di Darma è Sir Westmoreland? (mentre è Sir Moreland)
Che i tigrotti impugnano solidamente il “parang, il lungo machete a doppio filo”? (mentre il machete è arma tipicamente sudamericana e il parang ha un filo solo)
Che il fedele mastro dei vecchi prahos si chiama Sambliong? (mentre si chiama Sambigliong)
Che Kaidangan, il padre di Sandokan, è stato ucciso per ordine di James Brooke e che la Tigre ha assistito impassibile al suo funerale? (mentre Brooke non c’entra niente con la tragica storia della famiglia di Sandokan. Kai-dangan fu assassinato dai sicari di un europeo, quello che verrà chiamato solamente “rajah del lago”. Impossibile vi siano stati dei funerali, dal momento che si trattava di una guerra per il regno di Kini-Balù)
Che Kammamuri “era un animista, praticamente prossimo all’ateismo”? (mentre è un seguace di Visnù)
Che Sandokan era stato educato “come mussulmano? Ovviamente no,…”? (ovviamente sì! Sandokan crede in Allah e Maometto, se pure a suo piacimento)
Che Charles Brooke è figlio di James? (mentre è il nipote)
E non venitemi a parlare di licenze poetiche!
Ma siamo appena all’inizio…
Si comincia ovviamente con la politica nuda e cruda, quando l’autore segnala l’appropriazione indebita dell’opera salgariana da parte del Fascismo e dei suoi “deliri im-periali” . Mi sembra però cosa naturale, se si considera il ciclo dei pirati della Malesia in chiave antibritannica, che il regime di Mussolini abbia innalzato i romanzi di Salgari ad opera fondante della “cultura italiana” dell’epoca. Inoltre è bene ricordare come l’indole espansionistica e imperialista dell’Italia fascista è in perfetta sintonia con quanto auspicava il giovane Salgari nell’età giolittiana, quando lavo-rava come cronista nelle redazioni dei giornali veronesi. Mi verrebbe però da proporre le stesse domande che si fa Taibo sul ruolo che pote-vano avere gli eroi di Salgari nella guerra d’Abissinia o a fianco delle camicie nere . Cosa avrebbero fatto invece di fronte ai presunti liberatori del popolo, assurti poi a spietati tiranni quali Fidel Castro, o i più recenti Morales e Chavez? Come si sarebbero comportati dinanzi alla barbarie di macellai come Mao Tse Tung e dei cambogiani? La risposta, alle mie domande così come a quelle di Taibo, è unica: la politica non cerchi di fare del salgarismo una bandiera, né che sventoli a destra né a sinistra.
Forse per la liberazione di Tremal-Naik? (I pirati della Malesia) Forse nella distruzione della setta dei thugs? (Le due tigri) Forse nella conquista del trono dell’Assam? (Alla conquista di un Impero) Forse nella riappropriazione dei diritti di nascita di Sandokan? (Sandokan alla riscossa) Forse nella rioccupazione di Mompracem? (La riconquista di Mompracem) Forse nella difesa del regno di Surama, dal cugino pazzo? (La caduta di un impero) Forse, ma non lo so… Quel che è certo è che i luoghi comuni sorti nel tempo, che vogliono gli eroi salga-riani come paladini del bene assoluto che lottano contro le ingiustizie, non sono veri in maniera assoluta. I personaggi di Salgari, sebbene abbiano un codice etico che spesso coincide con gli ideali di giustizia universale e di libertà, non si danno soverchio pensiero di ciò che accade intorno a loro in termini politici e/o sociali. Hanno le proprie vendette e i propri tormenti di cui preoccuparsi. Sono, così come il Corsaro Nero che bellamente ha in testa solo Wan Guld e non si cura delle atrocità dei discendenti dei conquistadores, dei simpatici “egoisti” da romanzo, non modelli da lotte di classe.
No, mio caro tovarish Taibo, l’opera salgariana non nasce come letteratura giovanile. Per-tanto le sue aggiunte vergognose, amico Paco, che vanno dalla fornicazione quasi esplicitata all’abominio costituito dallo stupro di alcune suore (non credo infatti che fossero consenzienti), se le tenga per lei e non ci venga a raccontare che mancano dalle avventure dei pirati della Malesia per via delle “convenzioni ottocentesche”. La letteratura di Salgari sarà anche figlia di certi condizionamenti culturali, ma fa si che i suoi personaggi rispettino sempre quel codice etico richiamato poc’anzi. Sandokan (inteso come archetipo del personaggio salgariano) non va a puttane perché è nato con la morale pudica e censoria del XIX sec., ma perché fa dell’amore puro, quello romanticamente inteso (da romanzo appunto) un principio di vita: ama una sola donna, una e una soltanto, la sposa e quando questa esce di scena, cessa ogni sua ambizione amorosa.
Così Sandokan arriva a dire a Yanez “europeo di merda” (includendo nell’accezione anche l’europea Marianna?) a cui il portoghese risponde a tono con “lurido principe malese di merda” . Perché volere in tutti i modi, consentiti e non, ostentare una propria avversione at-traverso la bocca di qualcun altro? Fuori luogo, oltre tutto. Esistono pamphlet e sedicenti saggi o trattati di pensiero per esternare le proprie convin-zioni, senza scomodare e infrangere miti inossidabili della letteratura. Il linguaggio scurrile e le parolacce di Sandokan e compagni, ancora una volta non sdoganano l’opera salgariana dal contestato bigottismo dell’800. Tolgono invece il fascino orientale (non è infinitamente più bello “Saccaroa”?) e goliardico (talvolta), reso da altre espressioni di disappunto come “Corpo di Bacco!” o “Tuoni di Giove!”.
E non crediate che Sandokan e Yanez siano più indulgenti con se stessi! Anzi, arrivano anche a rinnegare la propria “natura regale”, archiviandolo come un breve periodo imbecille della propria vita.
Uno sfacelo insomma. Caro compagno Paco, lei mi è simpatico e altre volte mi piacquero i suoi scritti. Ma stavolta ha esagerato, ha sforato in un campo che non è il suo (e in passato a chi entrava nei propri terreni, si sparava sale grosso!).
Lo specchio dell’attuale editoria, insomma…
Cap. Fabio Negro