Magazine Italiani nel Mondo
Come in ogni ritorno, tutto è cambiato e tutto è rimasto come prima. Ho fatto un po' fatica a riconoscere certe strade, certi quartieri. Un po' perché la mania di costruzione è diventata sport nazionale, un po' perché la mia memoria non riusciva a seguire il dedalo di strade che si intersecano in maniera irregolare, senza rispetto per la geometria.
Ma basta una cena per ritrovarsi in un ambiente familiare, anche se tutte le facce attorno al tavolo sono nuove. Non serve conoscere le persone quando ci sono le classiche tipologie della cooperazione italiana. E così si ritrovano i volontari arrivati di recente, animati da un misto di idealismo e di ambizione. Non sanno ancora se vogliono fare del bene oppure aspirare ad un contratto con una grande agenzia internazionale.
C'è chi invece la decisione l'ha presa da tempo e parla di "P table", ovvero la categorizzazione standard del livello di responsabilità (e di stipendio) del personale delle Nazioni Unite. Dopo la P è sempre bene avere un numero verso il 4 o il 5. In quel caso l'invito ai ricevimenti delle ambasciate è quasi automatico, altrimenti bisogna lavorare un po' sulle amicizie trasversali che possono aprire orizzonti insperati nell'ambiente degli espatriati annoiati d'Africa.
E infine ci sono quelli che il "cooperante" lo fanno per lavoro e che non sanno se lo faranno per sempre o se è giunta ora di cambiare aria, che si chiedono cosa mai potrebbero fare in Italia e se veramente avrebbero voglia di lavorarci, o se invece non sarebbe meglio perdersi in un'altra avventura dall'altro lato del pianeta, con la paura di non ritrovarsi. I dubbi esistenziali sono le uniche certezze degli umanitari.
Mangiando in un ristorante un po' più in alto dei duemila metri di Addis, con vista sulle luci della città e sui suoi usi e abusi edilizi, mi rendo conto che sono un animale strano, con un passato ed un presente che si riconciliano a mala pena. Un quadro pentagonale oppure ovale, quelli difficili da incorniciare. Ma questo non mi pesa, anzi mi conforta un po', perché più forme si hanno e più è possibile fare parte di mondi diversi e farli propri.
Per quanto abbia passato poco tempo in Etiopia, questo posto affascinante, illeggibile e complesso è un po' mio. Riconosco parole, visi, sapori. E', nel suo piccolo, un ritorno a casa.
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