Magazine Diario personale

Ritorno a casa parte I

Da Pamirilla

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Bagagli, saluti, salgo in macchina e inforco gli occhiali. Si parte, si torna a casa.
“Questo è vero o te lo sei inventato?” Questa volta è tutto vero è andata così, proprio come me lo ero inventato.
Ed è vera anche tutta questa musica che c’è qua e sì, musica sopra tutto, dappertutto.


Partenza : “Il Bruco”, assolutamente necessario nel tratto Loro- Terranuova; con “Il Bruco” sono arrivata e con “Il Bruco” riparto, in quel tratto di strada che sembra fatto apposta per “Il Bruco”.
Parto nel momento esatto in cui devo partire, che non era quello programmato. Parto, è ora : un minuto di meno sarebbe stato un rimpianto, uno di più sarebbe stato di troppo.
Porompoppopperopperò tarattattarattarà…. taaarà….tutuum….. taarà.
Mentre mi perdo nelle trombe e tra le vigne, la macchina mi porta verso l’autostrada. Sembra passato un tempo infinito dal giorno in cui ho percorso questa stessa strada nel senso opposto, eppure mi ricordo esattamente la fitta di gioia al cuore alla terza curva, settima tromba a destra, dopo il platano grande.

Quella sera avevo mille angosce: le foto della notte bianca di San Giovanni Valdarno e agli artisti di Europlà senza aver ancora imparato ad usare la macchina fotografica di notte. Gli eventi troppi, molti in contemporanea e soprattutto una settimana che stavo male, ripiena, come una tacchina, di antibiotici, antidolorifici, cortisonici e terrore.
La mia soglia del dolore è notevolmente sotto il livello del mare. Sono anche ipocondriaca.
Il concerto alle 23.00.
Non ce la farò mai.
Infatti cedo “Prooonto, amooooore”
“Che c’è?”
“Muoooooiooooooooooo”
Nessuna pietà dall’altra parte dell’etere, dovrò sopravvivere da sola.
Mi trascino al concerto e stramazzo su un muretto.
La Banda.
Oddio, la Banda Improvvisa al gran completo non l’avevo mai vista “di persona”, pensavo di averla inventata, magari.
Le note sfilano, mi stacco dal muretto e mi levo di qualche metro da terra: dondolo e gongolo.
Sono già perfettamente felice quando suonano “Circe”, quando arriva il “Bruco”, a chiudere, sono anche perfettamente guarita da ogni male. E comincia così.

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Dopo due settimane ho imparato le uscite da ogni rotonda così non è più necessario che giri in tondo fino a che non ho letto tutti i cartelli. Ecco l’autostrada. Facile. Il Chianti è di là, lì San Giovanni, dall’altra parte, e tutt’intorno vigne, musica e la mia vita sparpagliata ovunque, spalmata nei prati. Mi sento così audace che alla pompa di benzina decido persino di farmi il pieno da sola. Wow. Pensavo che mai ne sarei stata capace, e invece…. Non fosse che, finito di erogare la benzina, la pompa mi trascina in volo verso la sua sede, come fosse un rottweiler impazzito, avrei anche fatto la mia porca figura. Invece ho fatto la mia solita figura di cavolo.
Vabbè. Nulla può guastare il mio buon umore.
Riprendo la strada, tarantelle e tromboni; piango un po’ su “Comunione”, come al solito, e quando il cuore smette di tremare il Chianti è già lontano.
Il mio mp3 ha una vita sua, un’ autonomia che non ricordo di avergli concessa ma in qualche modo si è conquistato mio malgrado. Decide improvvisamente di saltare sulla “compilescion da viaggio”.
“Chiama piano” di Concato e Bertoli mi ricorda che c’è stato un tempo in cui ho chiamato piano e anche forte, urlato, pianto ma non mi ha sentito nessuno. Ascoltavo questa canzone e pensavo “Io ci sarò, dici?!! Ma dove, dove sei?!! E perché mi dici che non sei lontano e io non vedo niente?” Perché è così, poi magari fai un sussurro e si aprono le montagne
.



“Vuoi qualcosa da bere?”
“No grazie, Alda”
E mi porge il bicchiere colmo e fresco.
“Resta a pranzo”
“No, grazie Alda, sto al Pc ancora un minuto e scendo”
“E prontoooooooooo, a tavola. Vieeeeniiii”
“Caffe?”
“No grazie”
“Ecco qua, quanto zucchero?”
“Noggrazzie” non è presente nel vocabolario di Alda. Essì che è prof. di lettere. Si vede che qualche lettera le manca!
Comunque resistere alle sue coccole è dura, infatti non ci riesco.
La casa che mi affittato è sotto la sua. Di fronte, sul lato opposto della piazzetta, c’è la bottega di Piero.
Scendo e Piero si illumina. Anche io mi illumino.
Quando sono arrivata non sapevo dove dovessi andare esattamente, anche se un po’ il paese lo conoscevo già. Ho socchiuso gli occhi, annusato il vento, mi sono voltata e ho preso la salita. E qui? Qui.
Ma la bottega del fabbro è chiusa nel week end. Passa il lunedì e passa un giorno ancora. Poi entro.
Non lo sapevo ma oggi è il compleanno di Piero, 85 anni. E io, mi dice, sono stata un regalo. Vorrei schermirmi, dire “Oh, no, no, non ho fatto nulla di chè” ma sarebbe falsità, una finta modestia stiracchiata per niente; so cosa ho portato e so cosa ho avuto in cambio: è molto più di niente e non finirà con il momento.
Piero mi racconta una storia e la storia finisce con una domanda. “Come lo sai, Piero, che sono partita per cercare la risposta a questa domanda?” gli chiedo trattenendo le lacrime. “Non so, mi sembrava di saperlo” mi risponde.
Ci stringiamo le mani forte e scappo pestando una commozione troppo intensa, a fatica non ci inciampo dentro.
La mattina mi sveglio presto, nella mia vita solita non la chiamerei neanche mattina ma la fine della notte. Preparo la colazione e mentre prendo il thè lo vedo arrivare. Mi illumino del suo sorriso, lui del mio e poi ognuno dei due si dedica alla proprio giornata. Ogni tanto ci prendiamo una pausa, ce ne stiamo a chiacchierare occhi negli occhi e ognuno di noi si sente a casa: arrivato, ritornato, perso e ritrovato, confortato. Semplice.
Posso anche accettare quello che non accetterei da un altro uomo: che lui sia un po’ innamorato di me ed io di lui. Due spiriti liberi e vagabondi, in cerca di domande e risposte, a guardare il mondo da inconsuete prospettive.
Incontri e lavoro: parlo con Antonio e passa, il tempo, senza che ce ne accorgiamo. Antonio e la sua famiglia hanno un azienda che non segue la logica del profitto, dell’approfitto, non uno stile di vita senza Stile, niente delle solite cose e leggi di mercato, marketing, speculazione, approssimazione, cupidigia, volgarità. Uhm….senza averlo inventato, questo esiste, a volte.
Grazia mi parla della realtà di questo territorio, delle difficoltà, delle risorse ed in un altro luogo ancora incontro Francesca a la sua buffa azienda, che segue strani istinti poi, a Montevarchi, mi compro una blusa perché mi piace e perché ho sudato sette camicie e ora ne voglio una nuova.
La sera torno a casa, accendo il PC, e racconto tutto ad Angela. Lei che era lì, in rete, anche quando ho preparato i bagagli e preso con me troppe medicine ed ero preoccupata, ora lo so, per niente, come al solito. Angela che mi ascolta, mi racconta di sé e noi che siamo così diverse e simili ci riconosciamo al fiuto anche quando le parole sono imprecise.
Angela è il diario delle mie giornate, accoglie il racconto del mio stupore e sorride di me che guardo il mondo a bocca aperta. Sbuffa sulle sue giornate, s’impenna e poi ride anche lei, con me. Ed io che non pensavo che lei potesse diventare così importante ora sono felice che invece sia successo, senza averlo neanche sperato.
Angela è vera. Vera di carne e sangue. Dolore e rabbia, gioia di vivere e slancio. Il sorriso di Angela non lo vedo ma lo so. È bellissimo.
Certo la A1 è bella dritta. Mica come rotolare nel Chianti, tornante dopo tornante. Paesini affollati dai turisti e borghi deserti. C’è sempre un angolo e dietro gli angoli c’è sempre qualcosa, nascosto.
Per scoprire le cose nascoste ci vuole una certa attenzione. Ed io sto molto, molto attenta.

“Vuoi un caffèeeeee?” che vuol dire fermati e facciamo due chiacchiere
“Nograzzie, sto lavorando” che vuol dire dovrei lavorare ma mi tenti
“Ecco, quanto zucchero?”
Alla fine mi lascio sempre prendere dalla compagnia di Alda. Mi piace come è forte e fragile nello stesso tempo, come è più grande e più piccola di me, nello stesso momento. Come mi guida per un po’ e poi si lascia rapire, mi guarda come se lei sapesse meglio di me cosa sto facendo, poi scopre che lo sapevo anche io, cosa stavo facendo, ma era un’altra cosa da quella che pensava lei. E vede che comincio le cose in un modo le finisco in un altro, mi arrabbio con chi amo come se lo detestassi e detesto fare errori ma poi ci rido su e non resto mai senza musica e senza ridere.
Faccio pasticci e li peggioro cercando rimedio, poi parto verso la collina, seguo il fiume e torno con un pensiero completamente diverso da quello con il quale ero partita. Un insolito stile di vita che molti chiamano confusione ed io invece chiamo “sono viva”. E che il mio uomo chiama “Con te non mi annoio mai”.

CONTINUA…………..


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